Tecnologia

Agenzia per il Digitale: commissario Piacentini, se c’è batta un colpo

Quasi un anno è passato dall’insediamento del Commissario Straordinario per l’attuazione dell’Agenda digitale, avvenuto in via formale con Dpcm 16 settembre 2016 e a cui sono stati consegnati ampi poteri (art. 63 Dlg 179/2016), ma l’attenzione pubblica e i media non sembrano essersi sufficientemente interessati al delicato lavoro svolto da Diego Piacentini, professionista di indiscusse capacità. Cinquantasette anni, da 16 vicepresidente di Amazon, per 2 anni (questa l’aspettativa concessagli dal colosso Usa) dovrebbe prestare “servizio civile a titolo gratuito”, lavorando cioè senza percepire alcun compenso economico, per cambiare – almeno sulla carta – l’Italia, anche attraverso l’aiuto dell’Agenzia per l’Italia Digitale.

Tuttavia è un antico vizio del Bel Paese quello del doppiopesismo critico, che porta a scegliere con cura le vittime da affondare o da celebrare, tralasciando con altrettanta precisione chi ignorare.

Un classico esempio è il fuoco incrociato di cui è stata vittima, ben prima del suo insediamento a sindaco di Roma, Virginia Raggi, per non parlare del trattamento riservato alla sua squadra di assessori e collaboratori: analizzata, smontata e commentata fino allo sfinimento. Alle critiche e osservazioni feroci dello stuolo degli oppositori politici, si aggiunge l’innegabile contributo dei media, che collaborano a diffondere l’eco di disappunto nei confronti del sindaco. Eco tuttavia che consente, suo malgrado, ai cittadini di monitorare con costanza e maniacalità i lavori portati avanti dall’amministrazione romana.

Mentre l’occhio critico dell’opinione pubblica è puntato sulla Raggi, sono pochi quelli che hanno notato lo stato comatoso in cui versa l’attuazione dell’Agenda Digitale Italiana, di cui Piacentini è responsabile da quasi un anno.

Nessuno o quasi ha infatti urlato allo scandalo alla vista del Team di esperti voluto dal senior vice president international di Amazon, la cui nomina peraltro era già trapelata nel febbraio del 2016, affidando in modo singolare la notizia a uno scambio di tweet. Eppure la squadra digitale, nominata senza alcuna candidatura ad evidenza pubblica, appare rigidamente e inspiegabilmente composta da numerosi esperti informatici che hanno occupato gran parte dello spazio che sarebbe stato utile riservare a professionalità differenziate e tra loro complementari, come quelle giuridiche ed archivistiche. Il disappunto mediatico non si è levato neppure di fronte agli strabilianti risultati fin qui prodotti dal “Team di Piacentini”, che dall’inizio dal suo insediamento, è stato in grado di fatto di dare il via a una collaborazione con ben 7 dei 7.982 comuni italiani per cercare di realizzare azioni concrete per l’Agenda digitale del Paese. A ciò si aggiunga il passo del gambero con l’ANPR (Anagrafe Unica, il cui progetto è stato tranquillamente sconfessato) e l’impegno – che suona più come una incombente minaccia – di un’ennesima modifica al Cad.

Vien da pensare, dunque, che sia la caratteristica “pro bono” dell’incarico di Piacentini la causa del disinteresse riservato dall’opinione pubblica ai risultati effettivamente conseguiti. Attenzione però, perché il rischio è quello di continuare a non soffermarsi neanche su quale possa essere la soluzione al possibile conflitto di interessi che vede lo stesso Piacentini lavorare gratuitamente per uno Stato che contesta ad Amazon – società che tornerà a gestire l’anno prossimo – l’evasione di 130 milioni di euro di tasse . Arriveremo al paradosso che vedrà Piacentini nella doppia – e contrapposta – posizione sia di rappresentante diretto della Presidenza del Consiglio – in quanto Commissario straordinario per l’Agenda digitale – sia di manager di Amazon?

In attesa che il Commissario per il digitale dica qualcosa sulla presunta evasione, noi ci limitiamo a ricordare di essere ancora in attesa della revisione delle regole tecniche, in attuale stato di irreale sospensione e indispensabili invece per sanare lo scollamento esistente tra ciò che le norme sanciscono e la loro effettiva applicazione nelle PPAA italiane.

La digitalizzazione, è bene ricordarlo, non è una questione puramente informatica e men che meno necessita di una strategia basata esclusivamente sulla “centralizzazione” di determinate piattaforme. È necessario invece entrare in un’ottica multidisciplinare, con un approccio orientato alla valorizzazione delle competenze e all’identificazione degli investimenti utili per pianificare a lungo termine una digitalizzazione che parta dalla semplificazione dei procedimenti amministrativi e che deve, quindi, essere progettata e favorita dalla normativa e non da essa contraddetta ogni anno. Al contrario, si è pensato che bastasse un uomo forte e il suo Team. Corsi e ricorsi storici si potrebbe pensare, in un Paese che continua a subire una delle più macroscopiche situazioni di ristagno sociale ed economico, ignorando le potenzialità che la rivoluzione digitale potrebbe concretamente apportare. Piacentini può anche essere l’uomo giusto, ma deve comprendere che lo Stato Italiano, pur da digitalizzare, non è una società di software.

Tra poco avremo un “nuovo” Cad, speriamo che un giorno arrivi l’Italia digitale.