Cronaca

Riciclaggio, sequestrato il ristorante dei vip Assunta Madre. Il locale fu teatro dell’intercettazione sulla fuga di Dell’Utri

Quattro persone ai domiciliari e due in carcere per intestazione fittizia di beni, riciclaggio di denaro di provenienza illecita. Tra questi il proprietario Gianni Micalusi, che avrebbe dovuto inaugurare un nuovo locale a Montecarlo insieme a Flavio Briatore

Maxi sequestro nella Capitale: all’alba la Squadra mobile di Roma e i finanzieri del Nucleo speciale di polizia valutaria hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare a carico di sei persone. Fra queste anche Gianni Micalusi, il titolare dell’Assunta Madre, ristorante di pesce in via Giulia, frequentato dal mondo dello spettacolo e dello sport. Sequestrati preventivamente anche numerosi beni, locali e conti correnti, tra cui il ristorante stesso. Oggi Micalusi, detto Johnny, avrebbe dovuto inaugurare un ristorante Assunta Madre a Montecarlo insieme a Flavio Briatore.

L’ordinanza di custodia cautelare è emessa dal gip di Roma su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia. Le sei persone arrestate sono ritenute responsabili di intestazione fittizia di beni, riciclaggio e autoriciclaggio di denaro di provenienza illecita. Adriano Nicolini, direttore della filiale romana della Banca del Fucino e Gianni Micalusi, titolare del ristorante si trovano ora in carcere; l’imprenditore Vito Francesco Genovese, il commercialista Luciano Bozzi, e i figli Francesco e Lorenzo Micalusi sono invece ai domiciliari. L’accusa per Nicolini è di aver riciclato complessivamente 888.244 euro provenienti dalle attività illecite di Micalusi.

Il ristorante era già finito al centro della cronaca giudiziaria 4 anni fa, quando Alberto Dell’Utri, fratello dell’ex senatore Marcello, fa tratteggiava i contorni della possibile fuga all’estero del fondatore di Forza Italia. “Qua bisogna accelerare i tempi fin quando che Marcello è libero, perché se poi non ce la fa?”, diceva il gemello di Dell’Utri, colloquiando l’8 novembre 2013 con Vincenzo Mancuso all’interno del locale, mentre le cimici della procura di Roma carpivano ogni parola. “Il programma – svelava sempre Alberto Dell’Utri – è quello di andarsene in Libano perché lì è una città dove Marcello ci starebbe bene perché lui c’è già stato, la conosce, c’è un grande fermento culturale, per lui andrebbe bene”. L’intercettazione era stata ordinata dai magistrati di piazzale Clodio nell’ambito di un’indagine su Micalusi e per questo motivo non era stata tenuta in considerazione dal Tribunale del riesame, che aveva così rigettato la richiesta di vietare l’espatrio all’ex senatore. Anche se poi sulla base di quelle intercettazioni venne ordinato il suo l’arresto, quando Dell’Utri era già latitante a Beirut.

Secondo gli inquirenti, che hanno parlato dell’operazione in conferenza stampa, Micalusi si è dimostrato “capace di costituire numerose e redditizie attività commerciali” grazie a investimenti immobiliari, “avendo cura di intestare i beni a prestanome privi di risorse economiche, per evitare di figurare come titolare effettivo, pur mantenendone saldamente la direzione”. Micalusi, usando i figli come “teste di legno” formalmente non appariva come titolare della società. Oltre al ristorante sono state sequestrate due società di commercio di prodotti ittici, la Metro Fish s.r.l. e il Centro ittico laziale s.r.l. Sequestrata anche la Papa Giulio s.r.l., specializzata nella gestione di esercizi pubblici e di ristorazione.

Gianni “Johnny” Micalusi è una vecchia conoscenza delle autorità. “Il 2 luglio 2002 si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – era stata emessa nei suoi confronti una sentenza di condanna per i reati di ricettazione (art. 648 C.P.), falsità materiale commessa dal privato in
autorizzazioni amministrative (art. 482 C.P.), induzione alla falsità ideologica del pubblico ufficiale”. Nel 2007 la Guardia di Finanza di Latina lo indagò per per associazione a delinquere di stampo mafioso, usura ed abusiva attività finanziaria. Il 10 maggio la sua Hosteria del pesce di Terracina, con una filiale in via di Monserrato, finì sequestrata insieme a un patrimonio di 7 milioni di euro nell’ambito di un’operazione che aveva riguardato 5 immobili, 11 autoveicoli, 6 società, 9 polizze assicurative, 15 conti correnti e 11 libretti di depositi a risparmio. Il 30 luglio 2009 la Corte di Appello di Roma revocava la misura emessa dal Tribunale di Latina.