di Enzo Marzo

Oltre alle politiche nazionali e a quella europea che fanno marcire i problemi che colpiscono molto la pancia delle folle, e che oscillano tra inettitudine e buonismo, una grossa mano al “populismo” è data dalla sottovalutazione del linguaggio che domina tv e giornali. Da alcuni anni si va affermando una parola (“populismo”) che è storicamente inappropriata e che nello stesso tempo favorisce sfacciatamente le forze politiche che sono definite tali. Perché regala loro una maschera. Prima era usata con un significato denigratorio, poi è stata fatta propria anche dai “denigrati”.

A questa parola si affianca anche un’affermazione che viene ripetuta come un mantra: si tratta del famigerato “non esistono più la sinistra e la destra”, che è la lapide mortuaria posta sulla politica. Non solo sulla politica fortemente ideologizzata del secolo scorso, ma tout court su tutta la politica. In Italia sotto questa bandiera sono prima di tutto quelle forze fatte solo di opportunismo che influenzano e poi seguono il ventre molle dell’opinione pubblica dei Caffè dello sport, manganellata dai telegiornali di regime e dalle chiacchiere televisive.

I classici del liberalismo su questo punto sono stati sempre chiari e anche la sociologia si è rifiutata di fare un terribile minestrone di emozioni, idee, analisi, valori, psicologie e interessi che portano gli individui a valutazioni molto differenti, che nella storia, con mille varianti ed eccezioni, si sono coagulate su due, tre convenzionali poli opposti situati su un unico continuum. Ovviamente, tutte le categorie non sono scatole sigillate e Vilfredo Pareto ci insegna che l’impossibilità di determinarle in modo rigido non significa che non esistano: per esempio, in quale ora, giorno, anno un individuo passa dalla maturità alla vecchiaia?

Certo che è impossibile dare una risposta “certa” e valida per tutti e dovunque, ma il fatto che non si possa determinare rigidamente non vuol dire che non esista la vecchiaia. Naturalmente ancora sono molti coloro che non avallano il minestrone opportunistico. Recentemente Alberto Melloni, con molto buon senso, ha ripetuto ciò che è cosa nota: “Chi dice di non essere né di destra né di sinistra è sempre di destra; e chi dice di essere oltre le ideologie ne ha sempre una, pure quella di destra“. Aggiungerei anche che proprio il disconoscimento di queste categorie è la più certa cartina di tornasole per riconoscere i politici di destra. Mi raccomando, non lesinate nell’adoperarla.

Ma torniamo al “populismo”. Non dargli il vero nome è un errore gravissimo. Molti vi incorrono per trascuratezza linguistica, altri per furberia. Le forze che si dichiarano, o sono definite, populiste sono tutte di estrema destra. Chiamarle in altro modo in Europa significa dare una qualche legittimazione (dopotutto il richiamo al popolo ha una connotazione positiva), mentre l’”estrema destra” è squalificata dalle le tragedie del Novecento Eppure il clericalismo, l’odio per l’Altro, il razzismo, l’antiequalitarismo tra generi sessuali, il protezionismo economico come dogma, il nazionalismo, il familismo, sono state sempre le categorie che hanno contrassegnato la destra estrema. Ma allora perché chiamare altrimenti le Le Pen, i Farage, i Trump, gli Orban?

E l’estrema destra è il nemico. Non l’avversario. Perché dovunque l’estrema destra oggi non propone solo una differente politica bensì dichiara apertamente di voler ribaltare gli assetti costituzionali dei nostri paesi. In Francia, i cittadini hanno votato bene non perché si sono schierati per la politica di Macron, ma perché hanno capito (e ci voleva pochissimo) che bisognava battere l’estrema destra. Cioè il nemico. E non hanno dato ascolto agli intellettuali “rosso antico”, che non hanno imparato nulla dalla storia novecentesca e si proclamano retoricamente antifascisti ma non sanno più neppure riconoscerlo, il fascismo, anche se viene sventolato loro in faccia. I cittadini semplicemente hanno riconosciuto che lo scontro era tra la democrazia e la non-democrazia. Punto e basta.

Fa molta confusione pure gettare nella stessa pentola “populismi” molto differenti. Anche Churchill cercò e ottenne una sintonia profonda col popolo inglese, ma doveva essere un “populismo sano” se dopo la guerra gli inglesi lo rimandarono a casa senza traumi. Né si può confondere l’estremismo di destra col peronismo o con la demagogia. Oggi Renzi non è definibile populista perché egli si propone come demagogo, e quotidianamente si rivolge alle pance (vuote) degli italiani con la solita formula tipica dei demagoghi: Menzogne, briciole, promesse. Saltando a piè pari le componenti costitutive della democrazia, come la mediazione e la rappresentanza, per perseguire in continuazione un totalitarismo soft.

Ah, le “vocazioni maggioritarie” imposte con leggi incostituzionali.

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