“E’ necessario trovare una nuova leadership che permetta di ritrovare la fiducia pubblica nella missione dell’FBI”. Con queste parole Donald Trump ha licenziato il direttore dell’FBI, James Comey, il cui contratto scadeva nel 2023. Secondo alcune ricostruzioni, Comey è venuto a sapere dell’allontanamento dalla televisione, mentre si trovava a Los Angeles per parlare ai funzionari della sua agenzia. Il licenziamento è stato “suggerito” a Trump dal segretario alla giustizia Jeff Sessions e dal suo vice, Ron Rosenstein, che citano la gestione delle indagini sulle mail di Hillary Clinton. In realtà, come fanno notare molti, soprattutto i democratici, Trump licenzia l’uomo che sta indagando sui suoi legami con la Russia.
La notizia dell’allontanamento di Comey è piombata su Washington a fine giornata e in modo inatteso. I dissidi tra Trump e il capo dell’FBI erano noti, e da tempo. In alcune occasioni Trump aveva anche parlato esplicitamente del tentativo da parte dell’intelligence americana di raccogliere fango contro di lui e di utilizzare “metodi nazisti” per farlo fuori. Comey aveva però, sinora, potuto godere di una relativa intoccabilità e di un’immagine di funzionario inflessibile e capace di agire sulla base dei fatti e non dei pregiudizi politici; capace, appunto, di aprire un’inchiesta sulle email di Hillary Clinton come pure di seguire i fili che portano dagli uomini attorno al nuovo presidente fino al Cremlino.
Non è però un mistero che Trump non abbia mai sopportato Comey: troppo indipendente, per piacere a un presidente che dà grande valore alla lealtà e all’attaccamento personale. L’occasione per licenziare Comey è allora venuto proprio da un rapporto del vice attorney general, Ron Rosenstein, che dice di “non poter difendere” la gestione dell’affare delle mail di Hillary Clinton. Scrive Rosenstein che Comey fece un errore “nell’usurpare l’autorità dell’attorney general, il 5 luglio 2016, annunciando che il caso email dovesse essere chiuso senza alcuna accusa… Il direttore dell’FBI ignorò allora un antico principio: che noi non teniamo conferenze stampa per rendere pubbliche informazioni spregiative su soggetti di un’indagine criminale che è stata chiusa”.
Abbastanza paradossalmente, Comey sarebbe quindi stato licenziato per aver nuociuto alla campagna elettorale di Hillary Clinton. In quell’occasione, però, proprio Donald Trump attaccò Comey per aver chiuso l’indagine senza formalizzare alcuna accusa nei confronti di Clinton (il caso era quello dell’indagine sull’uso di un server privato da parte della democratica quand’era segretario di stato). E quando, a undici giorni dal voto, Comey riaprì l’indagine su Clinton, Trump esultò e lodò pubblicamente “il coraggio” che l’allora direttore dell’FBI aveva mostrato. Tutto questo appare ora dimenticato e il presidente afferma che Comey si è mostrato “incapace di guidare in modo efficace l’FBI”.
Il caso ha fatto esplodere la tempesta politica più drammatica da quando Trump è entrato alla Casa Bianca. Il licenziamento del direttore dell’FBI da parte del presidente è un atto gravissimo (successe una sola volta, nel 1993, quando Bill Clinton allontanò William S. Sessions), che può far sorgere pericolosi conflitti costituzionali. A nessuno peraltro sfugge che, in questo caso, i conflitti sono ancora più evidenti. Pur citando la gestione del caso Clinton, Trump si libera infatti dell’uomo che stava gestendo l’inchiesta sui legami tra la campagna repubblicana e la Russia. Comey, in un’audizione parlamentare, aveva affermato che al momento non c’erano elementi di indagine nei confronti di Trump; ma aveva parlato di legami evidentissimi tra alcuni collaboratori del presidente – in altre parole Michael Flynn, Paul Manafort, Carter Page – e alcuni uomini del governo di Mosca. Negli ultimi giorni la questione ha avuto ulteriori sviluppi imbarazzanti per l’amministrazione. Sally Yates, sempre davanti a una commissione del Congresso, ha detto di aver fatto sapere alla Casa Bianca il 26 gennaio dei legami di Flynn con i russi, segnalando che non era opportuno nominare il generale a consigliere alla sicurezza nazionale. Trump nominò ugualmente Flynn e licenziò poco dopo anche Yates, che guidava il Dipartimento alla Giustizia nella fase di passaggio dei poteri.
Secondo alcune fonti, il licenziamento di Comey non piace ad ampi settori dell’FBI, che vedono il rischio di un’ingerenza del potere politico nelle indagini dell’agenzia. Ma il licenziamento di Comey ha sollevato l’indignazione soprattutto dei democratici, che ci vedono un modo per rallentare o cancellare l’inchiesta sui legami con la Russia. “Ogni tentativo di bloccare o indebbolire l’indagine dell’FBI solleverebbe delle gravi questioni costituzionali”, ha detto Dick Durbin, democratico dell’Illinois. E Ron Wyden, senatore dell’Oregon, chiede che Comey venga chiamato immediatamente a testimoniare al Congresso sullo stato dell’inchiesta sulla Russia al momento del suo allontanamento. I democratici chiedono la nomina di un “procuratore speciale”, che indaghi sull’affaire russo. La stessa richiesta viene ormai anche da molti repubblicani. Justin Amash, deputato del Michigan, ha scritto in un messaggio Twitter che ora “sostiene l’idea di una commissione indipendente di indagine” su Trump e i suoi collaboratori.