“Ci credevamo invincibili, pensavamo che nessuno sarebbe morto. L’impossibile, invece, era accaduto davanti ai nostri occhi e ce ne stavamo lì senza alcuno strumento per affrontarlo”, ricorda Chris Cornell, frontman dei Soundgarden e protagonista di spicco della scena grunge di Seattle, parlando della morte dell’amico e collega, nonché ex coinquilino, Andy Wood, che con i suoi Mother Love Bone era a malapena riuscito ad assaporare quel successo ambito, meritato, fortemente voluto.
Perché nel marzo del 1990, quando Apple, prodotto dalla Polygram sta andando alle stampe, la sua morte per overdose di eroina ha l’effetto di un cataclisma oltreché sulla sua band, anche sull’intera comunità musicale di Seattle. “Andy – prosegue Chris Cornell – era un raggio di sole che ci illuminava, e vederlo attaccato alle macchine ha significato, per la scena musicale, la fine dell’innocenza”.
Quando si pensa al grunge, qualunque cosa esso sia stato, generalmente vengono in mente i Nirvana, dischi come Nevermind o Ten o Badmotorfinger, e personaggi come Kurt Cobain e quel colpo di fucile che si sparò alla testa in un giorno d’aprile del 1994. È invece la frase pronunciata da Cornell, “vedere Andy attaccato alle macchine ha significato, per la scena musicale, la fine dell’innocenza”, a ispirare la scrittrice e giornalista Valeria Sgarella nella stesura di Andy Wood l’inventore del grunge – Vivere (e morire a Seattle) prima dei Pearl Jam, un libro nel quale mette insieme le tessere di un puzzle che le ha permesso di ricostruire in maniera minuziosa, la storia di un personaggio che troppo spesso a livello mainstream è passato in secondo piano.
Valeria, i protagonisti della scena grunge che hanno fatto la storia (e sono caduti), sono vari: perché hai scelto di raccontare la storia di Andy Wood?
Ho deciso di approfondirne la conoscenza dopo aver letto una dichiarazione di Chris Cornell. E cioè che “l’innocenza di Seattle è morta vedendo Andy Wood su un letto d’ospedale” e non quando Kurt Cobain si è sparato un colpo di fucile alla testa. Da fan dei Pearl Jam, questa frase mi ha fatto pensare: era chiaro che nel racconto dell’epopea grunge di cui abbiamo goduto, e in seguito pianto, qualcosa ci era mancato. In particolar modo il punto di vista locale, quello della Seattle di quel periodo, prima che tutto succedesse. Allora ho iniziato a studiare la figura di Andy, che conoscevo in modo superficiale, e ho scoperto, sia dal punto di vista del carisma, sia dal punto di vista del talento, quanto fosse stato influente su quelle realtà che in seguito avrebbero portato la scena di Seattle a livello internazionale. E l’ha fatto in silenzio. Un aspetto della storia, questo, che mi ha molto affascinato.
Spesso si dimentica che dietro la maschera da rockstar si celano ragazzi dalla spiccata sensibilità, che il più delle volte hanno una personalità borderline, e l’essere considerati improvvisamente delle icone, venendo messi su di un piedistallo è vissuto come un vero trauma.
Relativamente alla musica grunge, c’è stata una specie di elevazione a divinità di personaggi che fondamentalmente avevano un solo grosso problema: il fatto di aver pensato nella loro infanzia e nella loro adolescenza, anche per via di famiglie disfunzionali, che cominciare a farsi di qualunque sostanza anche in giovanissima età non fosse un rischio, che non rappresentasse un problema. E questo non ha che peggiorato una serie di problematiche che ciascuno di questi ragazzi aveva.
Per esempio?
Kurt Cobain aveva un problema enorme con il suo pubblico e con la gente che lo elevava a modello da imitare, perché non si riconosceva né in quel ruolo né in quel pubblico. Andy Wood, invece, aveva il problema di ambire al successo ma allo stesso tempo faceva di tutto per sabotarlo. Layne Staley (cantante degli Alice in Chains scomparso il 5 aprile del 2002, nda) aveva il problema di voler emulare certi personaggi e di coltivare al tempo stesso una grande solitudine interiore, in cui si rifugiava proprio nella sua lotta contro il successo.
Il fatto di non avere i mezzi personali per sostenere un successo travolgente è il comune denominatore tra Kurt, Layne e Andy.
Infatti, non è un caso che un personaggio come Eddie Vedder sia riuscito a sopravvivere a tutto questo: ha saputo in primis affrontare la propria fama; e poi un altro elemento che fa la differenza in questi casi è l’essere sani di mente. Se fai un uso massiccio di sostanze stupefacenti, puoi avere tutte le buone intenzioni del mondo, ma alla fine in qualche modo perisci.
Trovo che il sottotitolo L’inventore del Grunge attribuito ad Andy Wood sia un po’ troppo spinto…
Ci sono varie origini che vengono attribuite al termine, io ho utilizzato questo sottotitolo per collocare in qualche modo, anche se approssimativo, Andy Wood. Sapevo perfettamente che avrebbe attratto una serie di critiche e domande, ma il punto è che il termine grunge non è un genere in sé assoluto ma un grande cappello che contiene una serie di elementi che hanno contribuito al Seattle Sound.
Del resto, le band non suonavano tutte allo stesso modo: i Soundgarden non suonavano come i Nirvana, né i Mudhoney suonavano come i Tad…
L’inventore del grunge mi sembrava la formula più rapida per esprimere un concetto che poi sviluppo nel libro: cioè che Andy Wood è stato a Seattle, prima di altri, una figura di grande rilievo e di grande influenza. I Mother Love Bone sono stati la prima band che non suonava assolutamente grunge, anche se da lì proveniva, a firmare un cospicuo contratto con una casa discografica – anche se non sono stati i primi a esser messi sotto contratto da una major –, quindi hanno bene o male aperto le porte al fenomeno di cui avrebbero goduto altri. Lui non ha inventato niente ma ha acceso i riflettori sulla città.
Tu sei stata la protagonista di un viaggio che ogni appassionato del grunge ha progettato di fare nella vita: anche se gli Anni 90 sono lontani, che impressione ti ha fatto la città di Seattle?
Sicuramente è una città che è cambiata parecchio nel tempo, anche se mio malgrado, non ho termini di paragone. Quando ho deciso di partire avevo già una rete di contatti, infatti avevo già fatto tante interviste via email e Skype e poi, quando sono andata lì, ho incontrato le persone con cui avevo già parlato: gli ex Mother Love Bone: il batterista Greg Gilmore e il chitarrista Bruce Fairweather, che abita a Ballard, il quartiere più bello e creativo della città. Fondamentale per il mio lavoro è stato Denny Swofford, archivista di MLB che li ha seguiti in tutta la loro breve carriera. Era il responsabile del loro fan club, registrava tutti i live della band e faceva da roadies. Con Andy era molto legato, tanto è vero che era lui ad accompagnarlo in clinica per i suoi incontri post degenza. Mi ha aperto il suo prezioso archivio mostrandomi cose straordinarie, compresa una versione primordiale di Alive portata al successo dai Pearl Jam. E poi ho incontrato la madre Toni Wood, che mi ha raccontato la storia di Andy sin dall’infanzia.
Cos’è che hai scoperto andando lì?
Che il riverbero del grunge che abbiamo noi soprattutto in Italia non è lo stesso che hanno i musicisti di Seattle. Lì il grunge non è materia di discussioni da almeno 20 anni. Non c’è il desiderio di parlarne o recuperare i bei tempi andati. Non c’è rimpianto, né nostalgia. C’è solo una fase che è passata e che per molti è stata abbastanza scomoda. Poi, parlare di Andy con chi è sopravvissuto è difficile, però ho visto una gran voglia di andare avanti e non un senso di gloria perduta.
Pasquale Rinaldis
Giornalista
Musica - 11 Maggio 2017
‘Andy Wood l’inventore del grunge’, un libro per andare oltre i Nirvana
“Ci credevamo invincibili, pensavamo che nessuno sarebbe morto. L’impossibile, invece, era accaduto davanti ai nostri occhi e ce ne stavamo lì senza alcuno strumento per affrontarlo”, ricorda Chris Cornell, frontman dei Soundgarden e protagonista di spicco della scena grunge di Seattle, parlando della morte dell’amico e collega, nonché ex coinquilino, Andy Wood, che con i suoi Mother Love Bone era a malapena riuscito ad assaporare quel successo ambito, meritato, fortemente voluto.
Perché nel marzo del 1990, quando Apple, prodotto dalla Polygram sta andando alle stampe, la sua morte per overdose di eroina ha l’effetto di un cataclisma oltreché sulla sua band, anche sull’intera comunità musicale di Seattle. “Andy – prosegue Chris Cornell – era un raggio di sole che ci illuminava, e vederlo attaccato alle macchine ha significato, per la scena musicale, la fine dell’innocenza”.
Quando si pensa al grunge, qualunque cosa esso sia stato, generalmente vengono in mente i Nirvana, dischi come Nevermind o Ten o Badmotorfinger, e personaggi come Kurt Cobain e quel colpo di fucile che si sparò alla testa in un giorno d’aprile del 1994. È invece la frase pronunciata da Cornell, “vedere Andy attaccato alle macchine ha significato, per la scena musicale, la fine dell’innocenza”, a ispirare la scrittrice e giornalista Valeria Sgarella nella stesura di Andy Wood l’inventore del grunge – Vivere (e morire a Seattle) prima dei Pearl Jam, un libro nel quale mette insieme le tessere di un puzzle che le ha permesso di ricostruire in maniera minuziosa, la storia di un personaggio che troppo spesso a livello mainstream è passato in secondo piano.
Valeria, i protagonisti della scena grunge che hanno fatto la storia (e sono caduti), sono vari: perché hai scelto di raccontare la storia di Andy Wood?
Ho deciso di approfondirne la conoscenza dopo aver letto una dichiarazione di Chris Cornell. E cioè che “l’innocenza di Seattle è morta vedendo Andy Wood su un letto d’ospedale” e non quando Kurt Cobain si è sparato un colpo di fucile alla testa. Da fan dei Pearl Jam, questa frase mi ha fatto pensare: era chiaro che nel racconto dell’epopea grunge di cui abbiamo goduto, e in seguito pianto, qualcosa ci era mancato. In particolar modo il punto di vista locale, quello della Seattle di quel periodo, prima che tutto succedesse. Allora ho iniziato a studiare la figura di Andy, che conoscevo in modo superficiale, e ho scoperto, sia dal punto di vista del carisma, sia dal punto di vista del talento, quanto fosse stato influente su quelle realtà che in seguito avrebbero portato la scena di Seattle a livello internazionale. E l’ha fatto in silenzio. Un aspetto della storia, questo, che mi ha molto affascinato.
Spesso si dimentica che dietro la maschera da rockstar si celano ragazzi dalla spiccata sensibilità, che il più delle volte hanno una personalità borderline, e l’essere considerati improvvisamente delle icone, venendo messi su di un piedistallo è vissuto come un vero trauma.
Relativamente alla musica grunge, c’è stata una specie di elevazione a divinità di personaggi che fondamentalmente avevano un solo grosso problema: il fatto di aver pensato nella loro infanzia e nella loro adolescenza, anche per via di famiglie disfunzionali, che cominciare a farsi di qualunque sostanza anche in giovanissima età non fosse un rischio, che non rappresentasse un problema. E questo non ha che peggiorato una serie di problematiche che ciascuno di questi ragazzi aveva.
Per esempio?
Kurt Cobain aveva un problema enorme con il suo pubblico e con la gente che lo elevava a modello da imitare, perché non si riconosceva né in quel ruolo né in quel pubblico. Andy Wood, invece, aveva il problema di ambire al successo ma allo stesso tempo faceva di tutto per sabotarlo. Layne Staley (cantante degli Alice in Chains scomparso il 5 aprile del 2002, nda) aveva il problema di voler emulare certi personaggi e di coltivare al tempo stesso una grande solitudine interiore, in cui si rifugiava proprio nella sua lotta contro il successo.
Il fatto di non avere i mezzi personali per sostenere un successo travolgente è il comune denominatore tra Kurt, Layne e Andy.
Infatti, non è un caso che un personaggio come Eddie Vedder sia riuscito a sopravvivere a tutto questo: ha saputo in primis affrontare la propria fama; e poi un altro elemento che fa la differenza in questi casi è l’essere sani di mente. Se fai un uso massiccio di sostanze stupefacenti, puoi avere tutte le buone intenzioni del mondo, ma alla fine in qualche modo perisci.
Trovo che il sottotitolo L’inventore del Grunge attribuito ad Andy Wood sia un po’ troppo spinto…
Ci sono varie origini che vengono attribuite al termine, io ho utilizzato questo sottotitolo per collocare in qualche modo, anche se approssimativo, Andy Wood. Sapevo perfettamente che avrebbe attratto una serie di critiche e domande, ma il punto è che il termine grunge non è un genere in sé assoluto ma un grande cappello che contiene una serie di elementi che hanno contribuito al Seattle Sound.
Del resto, le band non suonavano tutte allo stesso modo: i Soundgarden non suonavano come i Nirvana, né i Mudhoney suonavano come i Tad…
L’inventore del grunge mi sembrava la formula più rapida per esprimere un concetto che poi sviluppo nel libro: cioè che Andy Wood è stato a Seattle, prima di altri, una figura di grande rilievo e di grande influenza. I Mother Love Bone sono stati la prima band che non suonava assolutamente grunge, anche se da lì proveniva, a firmare un cospicuo contratto con una casa discografica – anche se non sono stati i primi a esser messi sotto contratto da una major –, quindi hanno bene o male aperto le porte al fenomeno di cui avrebbero goduto altri. Lui non ha inventato niente ma ha acceso i riflettori sulla città.
Tu sei stata la protagonista di un viaggio che ogni appassionato del grunge ha progettato di fare nella vita: anche se gli Anni 90 sono lontani, che impressione ti ha fatto la città di Seattle?
Sicuramente è una città che è cambiata parecchio nel tempo, anche se mio malgrado, non ho termini di paragone. Quando ho deciso di partire avevo già una rete di contatti, infatti avevo già fatto tante interviste via email e Skype e poi, quando sono andata lì, ho incontrato le persone con cui avevo già parlato: gli ex Mother Love Bone: il batterista Greg Gilmore e il chitarrista Bruce Fairweather, che abita a Ballard, il quartiere più bello e creativo della città. Fondamentale per il mio lavoro è stato Denny Swofford, archivista di MLB che li ha seguiti in tutta la loro breve carriera. Era il responsabile del loro fan club, registrava tutti i live della band e faceva da roadies. Con Andy era molto legato, tanto è vero che era lui ad accompagnarlo in clinica per i suoi incontri post degenza. Mi ha aperto il suo prezioso archivio mostrandomi cose straordinarie, compresa una versione primordiale di Alive portata al successo dai Pearl Jam. E poi ho incontrato la madre Toni Wood, che mi ha raccontato la storia di Andy sin dall’infanzia.
Cos’è che hai scoperto andando lì?
Che il riverbero del grunge che abbiamo noi soprattutto in Italia non è lo stesso che hanno i musicisti di Seattle. Lì il grunge non è materia di discussioni da almeno 20 anni. Non c’è il desiderio di parlarne o recuperare i bei tempi andati. Non c’è rimpianto, né nostalgia. C’è solo una fase che è passata e che per molti è stata abbastanza scomoda. Poi, parlare di Andy con chi è sopravvissuto è difficile, però ho visto una gran voglia di andare avanti e non un senso di gloria perduta.
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Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Non esiste possibilità di un'Unione Europea che conti nel mondo se questa è priva di una difesa europea. Ogni entità politica deve avere tra i suoi principali scopi la conservazione di sé, la propria autodifesa. Altrimenti può essere un'organizzazione economica o commerciale o altro, ma non un'unione politica". Lo sostiene in un'intervista al Corriere della Sera l'ex presidente della Commissione europea José Manuel Durão Barroso, a Roma per un incontro in ricordo di Franco Frattini, ex vicepresidente della stessa commissione, aggiungendo di accogliere favorevolmente la risoluzione del Consiglio europeo di passare, in materia di difesa, dall'unanimità alla maggioranza qualificata, eccezion fatta per le operazioni militari con mandato esecutivo.
"Tutti i passi per assicurare all'Ue un processo decisionale più efficace vanno bene - aggiunge l'ex premier portoghese - Nella fattispecie però non credo che a frenarle sia il voto a maggioranza: spesso l'argomento viene usato come pretesto da quanti dichiarano di voler andare avanti, ma in realtà no. Nei trattati esiste già la possibilità di 'cooperazioni rafforzate' tra alcuni Paesi, basta rispettarne i principi. Sono previsti dall'articolo 20 del Trattato di Lisbona e la massa critica sufficiente per procedere oggi c'è".
"Intese specifiche quali sono le cooperazioni rafforzate vanno raggiunte da almeno nove Stati membri e, siamo onesti, su molte domande non possiamo ambire all'unanimità - spiega Barroso - Attualmente i nove ci sono. E c'è anche abbastanza massa critica per sostenere l'Ucraina". Quanto al programma Rearm Europe di difesa europea approvato dal Consiglio e nella sostanza dal Parlamento, dice ancora, "coloro che sono pronti dovrebbero andare avanti. Francia, Germania e altri lo sono. Allo stesso tempo devono rimanere aperti, come prevedono i trattati, a ulteriori Paesi che potrebbero aggiungersi. È una geometria variabile estensibile a Stati non dell'Ue, come è adesso la Gran Bretagna. Penso che questo dibattito istituzionale di frequente sia una scusa, perché le cose quando lo vogliamo davvero siamo capaci di farle. Importante è superare la frammentazione nell'industria della difesa. Se ogni Paese investe nella rispettiva difesa non aumenteremo quella europea".
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - Si tratta ancora sul testo della mozione del Pd in vista del voto in Parlamento sulle comunicazioni della premier Meloni in vista del Consiglio Ue. Un accordo sul testo, dopo la lunga riunione di ieri, ancora non è stato trovato. A quanto si apprende, al momento a tenere lontani maggioranza del partito e i riformisti dem è l'aggettivo "radicalmente" voluto dalla segretaria Elly Schlein a proposito dei cambiamenti da apportare a ReErm Eu.
Sulla necessità di invocare modifiche al progetto di difesa Ue di Ursula von del Leyen, invece, le diverse anime del partito si sono trovate d'accordo. "La Schlein vuole marcare la differenza dal Piano, i riformisti pensano invece che ci vogliano debito europeo e difesa comune", sottolinea chi segue le trattative da vicino.
Al testo della mozione lavora già da ieri un gruppo ristretto composto dai capigruppo Francesco Boccia e Chiara Braga, il responsabile Esteri Peppe Provenzano, i capigruppo di commissione Stefano Graziano, Enzo Amendola, Piero De Luca, Tatiana Rojc e Alessandro Alfieri. Una riunione del tavolo ristretto era prevista per stamattina, prima dell'Assemblea dei Gruppi delle 11,30, ma al momento ancora non è iniziata.
Roma, 18 mar (Adnkronos) - "Spero ci sia la volontà politica per evitare di dividerci di nuovo. Questo è un passaggio storico. Non possiamo sbagliare, è troppo importante. La politica estera e i temi della difesa europea magari non sono decisivi per il consenso elettorale, ma sono fondamentali per la costruzione della credibilità di un soggetto politico e della costruzione di un’alternativa di governo". Lo dice al Foglio Alessandro Alfieri, senatore del Pd e coordinatore di Energia popolare, a proposito della mozione del Pd sulle comunicazioni di Giorgia Meloni in vista del Consiglio Ue.
"Lavoriamo a un documento che sottolinei le criticità del piano sulle quali il governo dovrebbe negoziare con la Commissione – dalla necessità di non sbilanciare il costo del riarmo troppo sui bilanci nazionali, alla necessità di investimenti che contribuiscano a far crescere la collaborazione industriale trai i paesi europei e gli acquisti e programmi comuni tra pesi – ma che confermi comunque che questo è oggi un passaggio necessario per garantire la sicurezza dell’Europa", sottolinea il senatore dem.
Roma, 18 mar (Adnkronos) - La tregue in Ucraina "ci sarà, è inevitabile. Trump e Putin si sono spinti troppo avanti. Hanno tagliato fuori dal confronto l’Europa che rompe le scatole e ora, escludendo gli altri, hanno obbligato se stessi a portare a casa il risultato. Non possono fallire, non possono tornare alla casella di partenza". Lo dice Romano Prodi a 'Avvenire'.
Ma "la pace è un’altra cosa. È più complicata perché si tratta di definire aspetti complessi. A cominciare dai problemi territoriali. Certo di solito una tregua finisce con il rendere definitivi accordi provvisori", sottolinea l'ex presidente della commissione Ue. Sulla difesa europea, Prodi spiega: "Ora è il momento di farci il nostro ombrello. Penso a un lungo e indispensabile cammino verso la difesa comune. Penso a risorse aggiuntive che vengano progressivamente messe insieme da tutti i Paesi Ue. Penso a risorse spese in modo coordinato e unito. Se aumentiamo le spese militari senza organizzare una politica estera e una difesa comune, sono soldi buttati via".
Prodi, tra le altre cose, parla della situazione del Pd: "In Europa non esiste un Paese in cui un partito abbia la maggioranza. Ecco il tema: creare la compagnia di viaggio" e con il M5s "c’è tanta distanza. Troppa. Questo gioco della separazione quotidiana vuol dire condannarsi alla sconfitta. E invece la sfida è trovare una capacità di mediare avanzando. Servono proposte innovative. Servono proposte che emozionano. Che prendono il cuore. Perchè c’è metà del Paese che non va più a votare. E perchè i giovani non si convincono con proposte in contrasto tra loro".
(Adnkronos) - Serie di attacchi aerei di Israele nella Striscia di Gaza, ripresi nella notte su ordine di Benjamin Netanyahu, che ha ordinato "la ripresa della guerra" contro Hamas, dopo che gli sforzi per estendere il cessate il fuoco sono falliti. Il bilancio delle vittime continua a salire. Secondo il direttore del ministero della Sanità della Striscia, Mohammed Zaqout, i morti sono saliti "ad almeno 330, per la maggior parte donne e bambini palestinesi, mentre i feriti sono centinaia"
Secondo quanto appreso dall'Afp da due fonti del movimento di resistenza islamico, tra le vittime c'è anche il generale di divisione Mahmoud Abu Watfa, che era a capo del ministero dell'Interno del governo di Hamas.
L'ufficio del primo ministro Netanyahu ha dichiarato che lui e il ministro della Difesa Israel Katz hanno dato istruzioni alle Forze di Difesa Israeliane (Idf) di intraprendere “un'azione forte contro l'organizzazione terroristica di Hamas” nella Striscia di Gaza. “Questo fa seguito al ripetuto rifiuto di Hamas di rilasciare i nostri ostaggi, così come al suo rifiuto di tutte le proposte ricevute dall'inviato presidenziale statunitense Steve Witkoff e dai mediatori”, ha dichiarato l'ufficio di Netanyahu in un post su X. “Israele, d'ora in poi, agirà contro Hamas con una forza militare crescente”, ha dichiarato l'ufficio di Netanyahu in una dichiarazione riportata dal Times of Israel, aggiungendo che i piani per la ripresa delle operazioni militari sono stati approvati la scorsa settimana dalla leadership politica.
Israele continuerà a combattere a Gaza "fino a quando gli ostaggi non saranno tornati a casa e non saranno stati raggiunti tutti gli obiettivi", ha affermato Katz.
La Casa Bianca dal canto suo ha confermato che Israele ha consultato l'amministrazione americana prima di lanciare la nuova ondata di raid. "Hamas avrebbe potuto rilasciare gli ostaggi per estendere il cessate il fuoco, invece ha scelto il rifiuto e la guerra", ha detto il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, Brian Hughes, al Times of Israel, dopo la ripresa dei raid israeliani contro la Striscia di Gaza.
Dal canto suo Hamas ha dichiarato che Netanyahu, con la sua decisione di "riprendere la guerra", "ha condannato a morte gli ostaggi" che si trovano ancora a Gaza. "Netanyahu e il suo governo estremista hanno deciso di sabotare l'accordo di cessate il fuoco - accusa il movimento in una nota - La decisione di Netanyahu di riprendere la guerra è la decisione di sacrificare i prigionieri dell'occupazione e di imporre loro la condanna a morte”. Hamas denuncia poi che il premier israeliano continua a usare la guerra a Gaza come "una scialuppa di salvataggio" per distrarre dalla crisi politica interna.
Hamas ha quindi esortato i mediatori internazionali a “ritenere l'occupazione israeliana pienamente responsabile della violazione dell'accordo” e ha sottolineato la necessità di “fermare immediatamente l'aggressione”.
Il cessate il fuoco era rimasto in vigore per circa due settimane e mezzo dopo la conclusione della prima fase, mentre i mediatori lavoravano per mediare nuovi termini per l'estensione della tregua. Hamas ha insistito per attenersi ai termini originali dell'accordo, che sarebbe dovuto entrare in vigore nella sua seconda fase all'inizio del mese. Questa fase prevedeva che Israele si ritirasse completamente da Gaza e accettasse di porre fine definitivamente alla guerra in cambio del rilascio degli ostaggi ancora in vita. Sebbene Israele abbia firmato l'accordo, Netanyahu ha insistito a lungo sul fatto che Israele non porrà fine alla guerra fino a quando le capacità militari e di governo di Hamas non saranno state distrutte. Di conseguenza, Israele ha rifiutato anche solo di tenere colloqui sui termini della fase due, che avrebbe dovuto iniziare il 3 febbraio.
Gli Houthi dello Yemen "condannano la ripresa dell'aggressione del nemico sionista contro la Striscia di Gaza". "I palestinesi non verranno lasciati soli in questa battaglia e lo Yemen continuerà con il suo sostegno e la sua assistenza e intensificherà il confronto", minaccia il Consiglio politico supremo degli Houthi, che da anni l'Iran è accusato di sostenere, come riportano le tv satellitari arabe.
Genova, 18 mar. (Adnkronos) - Tragedia nella notte a Genova in via Galliano, nel quartiere di Sestri Ponente, dove un ragazzo di 29 anni è morto in un incendio nell'appartamento in cui abitava. L'incendio ha coinvolto 15 persone di cui quattro rimaste ferite, la più grave la madre del 29enne, ricoverata in codice rosso al San Martino. Altre tre persone sono state ricoverate in codice giallo all'ospedale di Villa Scassi. Sul posto la polizia che indaga sulla dinamica.
Dalle prime informazioni si sarebbe trattato di un gesto volontario del giovane che si sarebbe dato fuoco.
Milano, 17 mar. (Adnkronos Salute) - Bergamo, 18 marzo 2020: una lunga colonna di camion militari sfila nella notte. Sono una decina in una città spettrale, le strade svuotate dal lockdown decretato ormai in tutta Italia per provare ad arginare i contagi. A bordo di ciascun veicolo ci sono le bare delle vittime di un virus prima di allora sconosciuto, Sars-CoV-2, in uscita dal Cimitero monumentale.
Quell'immagine - dalla città divenuta uno degli epicentri della prima, tragica ondata di Covid - farà il giro del mondo diventando uno dei simboli iconici della pandemia. Il convoglio imboccava la circonvallazione direzione autostrada, per raggiungere le città italiane che in quei giorni drammatici accettarono di accogliere i defunti destinati alla cremazione. Gli impianti orobici non bastavano più, i morti erano troppi. Sono passati 5 anni da quegli scatti che hanno sconvolto l'Italia, un anniversario tondo che si celebrerà domani. Perché il 18 marzo, il giorno delle bare di Bergamo, è diventato la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.
La ricorrenza, istituita il 17 marzo 2021, verrà onorata anche quest'anno. I vescovi della regione hanno annunciato che "le campane di tutti i campanili della Lombardia" suoneranno "a lutto alle 12 di martedì 18 marzo" per "invitare al ricordo, alla preghiera e alla speranza". "A 5 anni dalla fase più acuta della pandemia continuiamo a pregare e a invitare a pregare per i morti e per le famiglie", e "perché tutti possiamo trovare buone ragioni per superare la sofferenza senza dimenticare la lezione di quella tragedia". A Bergamo il punto di partenza delle celebrazioni previste per domani sarà sempre lo stesso: il Cimitero Monumentale, la chiesa di Ognissanti. Si torna dove partirono i camion, per non dimenticare. Esattamente 2 mesi fa, il Comune si era ritrovato a dover precisare numeri e destinazioni di quei veicoli militari con il loro triste carico, ferita mai chiusa, per sgombrare il campo da qualunque eventuale revisione storica. I camion che quel 18 marzo 2020 partirono dal cimitero di Bergamo furono 8 "con 73 persone, divisi in tre carovane: una verso Bologna con 34 defunti, una verso Modena con 31 defunti e una a Varese con 8 defunti".
E la cerimonia dei 5 anni, alla quale sarà presente il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, sarà ispirata proprio al tema della memoria e a quello della 'scoperta'. La memoria, ha spiegato nei giorni scorsi l'amministrazione comunale di Bergamo, "come atto necessario per onorare e rispettare chi non c'è più e quanto vissuto". La scoperta "come necessità di rielaborare, in una dimensione di comunità la più ampia possibile, l'esperienza collettiva e individuale che il Covid ha rappresentato".
Quest'anno è stato progettato un percorso che attraversa "tre luoghi particolarmente significativi per la città": oltre al Cimitero monumentale, Palazzo Frizzoni che ospiterà il racconto dei cittadini con le testimonianze raccolte in un podcast e il Bosco della Memoria (Parco della Trucca) che esalterà "le parole delle giovani generazioni attraverso un'azione di memoria". La Chiesa di Ognissanti sarà svuotata dai banchi "per rievocare la stessa situazione che nel 2020 la vide trasformata in una camera mortuaria". Installazioni, mostre fotografiche, momenti di ascolto e partecipazione attiva, sono le iniziative scelte per ricordare. Perché la memoria, come evidenziato nella presentazione della Giornata, "è la base per ricostruire".