Il “nuovo” Renzi forte dell’altrettanto “nuova” direzione che si discosta dalla precedente per aver rottamato anche gli ultimi critici felpati, come Gianni Cuperlo a favore di cloni e fedelissimi, non importa se bolliti, come Alessandra Moretti, di fidati toscani limitrofi a Rignano e di entusiaste new entry che aspirano “al percorso della Boschi”, non fa in tempo a godersi l’ennesima “novità” di un partito sartoriale a sua immagine e somiglianza ed ecco materializzarsi, più attuale che mai, uno sconcertante passaggio del suo recente passato di capo del governo.
E forse si tratta dello snodo più inglorioso e imbarazzante della tappa più insidiosa e squalificante per l’esecutivo degli “impavidi rottamatori”: una prova da cui il governo Renzi era uscito “indenne” solo grazie ai numeri garantiti dal Porcellum alla Camera, dove era stata respinta la sfiducia individuale che il M5S aveva chiesto per il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi.
Lei si era difesa sdegnata, attaccando e senza dare alcuna risposta pertinente dall’accusa di essere in conflitto di interessi per Banca Etruria dove da consigliere di amministrazione, il padre era asceso in pochi mesi alla vicepresidenza, dopo che la figlia era diventata un ministro chiave del governo Renzi, e si era attivato così alacremente per “dare una mano” alla banca da ritenere opportuno consultare in più incontri un faro di autorevolezza come Flavio Carboni.
Riascoltare oggi quelle parole in libertà pronunciate con una supponenza ignota persino al signore del conflitto di interessi e fondate sulla consapevolezza di essere al di sopra di qualsiasi richiesta di trasparenza e di chiarezza è molto illuminante. Soprattutto se si compara la pretesa di intangibilità contro quella che liquidò come “campagna strumentale contro la sua persona e la sua famiglia umile e onesta” in cui lei era la prima laureata e di cui “andava fiera” con le chiare e sintetiche righe all’interno del libro di Ferruccio De Bortoli, Poteri forti (o quasi) dove c’è la conferma di come “l’allora ministra delle Riforme, nel 2015, non ebbe problemi a rivolgersi direttamente all’amministratore delegato di Unicredit” (Federico Ghizzoni, ndr) per chiedere di “valutare una possibile acquisizione di Banca Etruria”.
L’autore si limita a constatare come la domanda all’ad di una banca quotata in merito a un’acquisizione da parte di un membro di governo che, vale la pena di sottolinearlo, non aveva nessuna delega di natura economica e un vincolo parentale molto stretto con il vicepresidente dell’istituto in crisi, fosse quantomeno “inusuale” e aggiunge che furono effettuate “valutazioni patrimoniali” con un esito negativo.
Al momento, per fare un sommario riepilogo, si può registrare che l’attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi, garante sull’operato dei ministri di Gentiloni in vista della campagna elettorale (già in atto seppur in assenza dell'”agognata” legge elettorale) continua ad avere un ruolo di primaria grandezza nonostante le pesanti responsabilità nel disastro della riforma costituzionale. La Boschi rappresenta, insieme a Luca Lotti, la continuità e il rilancio del renzismo “rinnovato”. Motivo per cui, se da un lato Gentiloni non ha nessuna voglia di sacrificarsi per lei e se per Renzi può essere oggi più difficile e meno conveniente salvarla rispetto al dicembre 2015, perché è formalmente fuori dall’attuale governo, è altrettanto evidente che una scivolata definitiva del suo attuale commissario della macchina amministrativa su una vicenda tanto impopolare come quella di Banca Etruria ricadrebbe anche sul neonato PdR.
Mentre il padre risulta tuttora indagato per bancarotta fraudolenta, dopo essere già stato sanzionato da Bankitalia, la Boschi si difende su Facebook negando di aver mai chiesto a Unicredit di comprare banca Etruria, annuncia querele a destra e manca e attacca ancora una volta il M5S, rispolverando un antico e consolidato cavallo di battaglia che non sembra averle portato molto bene.
Già nel 2015 Renzi aveva sentenziato che la mozione di sfiducia sarebbe stata “un clamoroso boomerang per il M5S” ed Ernesto Carbone, non ancora autore dell’indimenticabile “Ciaone” si era scagliato contro “i figli dei fascisti“ che devono “sciacquarsi la bocca” prima di fare la morale al Pd.
Il più serafico è Ferruccio De Bortoli che da “collezionista di querele” sollecita la Boschi a dare seguito all’annuncio nella consapevolezza di avere scritto solo ciò di cui è venuto a conoscenza.