Un anno fa a quest’ora i rappresentanti di 40 paesi, della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale, di grandi aziende e di organizzazioni della società civile si riunivano a Londra per definire un piano efficace per il contrasto alla corruzione. Il risultato del vertice fu la prima Dichiarazione globale contro la Corruzione attraverso la quale i leader dei 40 paesi firmatari esprimevano un’ambizione comune nella lotta alla corruzione: “La corruzione è al centro di tanti problemi del mondo. Dobbiamo superarla se vogliamo che i nostri sforzi per porre fine alla povertà, promuovere la prosperità e sconfiggere il terrorismo e l’estremismo abbiano successo”. Questo è stato un passo importante in un percorso ben più lungo. A un anno di distanza, a che punto siamo?
I progressi in seguito al Summit di Londra sono stati disparati e l’ambizione sembra diminuire. Secondo uno studio della Banca Mondiale, il 70% dei casi di corruzione riguarda società fantasma. Poco più di un anno fa, lo scandalo dei Panama Papers ha rivelato come strati su strati di società di comodo e trust fossero deliberatamente progettati per nascondere l’identità dei ‘beneficiari effettivi’ (coloro che guadagnano dalle società). Questo sistema opaco permette a chiunque di costituire una società o un trust senza però minimamente assumersi la responsabilità delle azioni dell’ente. È un disastro annunciato. La segretezza di questi enti li rende il veicolo prescelto da truffatori, funzionari governativi corrotti, terroristi, trafficanti di esseri umani, spacciatori di droga e altri personaggi nefasti per nascondere denaro ottenuto in maniera illecita.
I proprietari anonimi ne traggono beneficio. La società ne paga le conseguenze. L’ultimo rapporto di Transparency International ci ricorda in Italia il caso Imi-Sir, che dopo anni di vicende giudiziarie ha costretto lo Stato a pagare un risarcimento di milioni di euro per una vicenda che ha avuto al centro l’uso di una rete intricata di trust e società offshore. Questo conferma il crescente utilizzo del trust per “finalità illecite, in particolare per la commissione di reati tributari, di riciclaggio, fallimentari, di abuso di mercato, nonché per schermare i patrimoni illeciti della criminalità organizzata”, nelle parole dello stesso ministero delle Finanze.
In risposta al Vertice di Londra governi come quelli dei Paesi Bassi e della Francia si sono presi impegni ambiziosi per contrastare le aziende fantasma rendendo pubblico chi le possiede e gestisce. Purtroppo l’Italia ha esitato, e quest’anno il governo ha proposto norme che non consentirebbero l’accesso del pubblico a informazioni sui beneficiari effettivi. L’accesso del pubblico è fondamentale per assicurare che giornalisti, società civile e forze dell’ordine – anche dei paesi in via di sviluppo – possano seguire i soldi ed eliminare la corruzione. Rendere disponibili a tutti queste informazioni servirebbe da deterrente per chi voglia tentare di nascondere guadagni illeciti. Mentre i paesi ricchi facilitano spesso questa rete di corruzione, i paesi poveri sono quelli che solitamente ne risentono. Ogni anno almeno mille miliardi di dollari spariscono dai paesi più poveri del mondo, in parte attraverso l’utilizzo di società e trust di comodo. Questi fondi potrebbero invece essere investiti in ospedali, scuole e posti di lavoro in luoghi dove ve ne è disperato bisogno.
C’è ancora tempo per agire. Proprio adesso l’Ue sta negoziando una revisione della Direttiva contro il riciclaggio di denaro. Se gli Stati Membri come l’Italia, molti dei quali parteciparono al vertice anticorruzione, sono seriamente intenzionati a guidare la lotta globale contro la corruzione, devono sostenere la proposta del Parlamento Europeo di garantire pubblico accesso alle informazioni relative a chi possiede e gestisce società e trust, impedendo così ai corrotti di nascondersi dietro un velo impenetrabile di segretezza. Tale azione non è solo nell’interesse dei paesi più poveri del mondo ma anche in quello dei paesi sviluppati. La corruzione alimenta il terrorismo e l’instabilità, minando gli sforzi per porre fine alla povertà estrema e aggravando le crisi umanitarie. Dare un giro di vite alle società e ai trust anonimi non è solo la cosa giusta da fare, è la cosa più intelligente per la pace e la prosperità sia dell’Ue che dei paesi in via di sviluppo.
di Emily Wigens, direttrice ad interim di Bruxelles per l’organizzazione The ONE Campaign