Ancora una assoluzione a Milano in un processo per le morti provocate dall’esposizione di lavoratori all’amianto. Sono stati assolti con formula piena Paolo Cantarella e Giorgio Garuzzo, rispettivamente ex amministratore delegato ed ex presidente di Fiat Auto, accusati di omicidio colposo nel processo con al centro dieci casi di operai morti per forme tumorali provocate dall’esposizione all’amianto dopo aver lavorato nello stabilimento dell’Alfa Romeo di Arese (Milano).
Il Tribunale ha assolto anche altri tre imputati, ex manager Alfa Lancia. La sentenza emessa oggi dal giudice della IX sezione penale, Paola Braggion, è in linea con i recenti verdetti del Tribunale milanese (di altre sezioni e altri giudici) che hanno assolto manager di grandi imprese che erano imputati per omicidio colposo e lesioni colpose per casi di lavoratori morti o ammalati per mesotelioma o altre forme tumorali dopo essere stati esposti senza misure di prevenzione, secondo l’accusa, all’amianto. Tra le assoluzioni più recenti quelle per il caso Pirelli in appello, il cosiddetto ‘Pirelli bis’ in primo grado e il processo agli ex manager dell’Enel di Turbigo in primo e secondo grado.
Il pm Maurizio Ascione aveva chiesto condanne a 3 anni per Cantarella e Garuzzo (ai due imputati veniva contestata la morte di due lavoratori), a 5 anni di reclusione per l’ex ad di Alfa Romeo Vincenzo Moro (la posizione di un altro ex ad Alfa, Corrado Innocenti, è stata stralciata) e l’assoluzione per l’ex presidente di Lancia Industriale spa Pietro Fusaro e per l’ex ad di Alfa Lancia Industriale Giovanni Battista Bazzelli.
Oggi il giudice ha assolto tutti e cinque gli imputati con le formule “perché il fatto non sussiste” e “per non aver commesso il fatto” per le varie imputazioni (le motivazioni arriveranno tra 90 giorni). Secondo il pm, gli ex manager nel periodo al centro delle indagini, tra gli anni ’70 e gli anni ’90, non avrebbero adottato le necessarie misure di prevenzione per proteggere i lavoratori dal rischio amianto. Nel corso della requisitoria il pm aveva affermato che anche prima della legge di messa al bando dell’amianto, in vigore dal 1991, “esisteva un apparato normativo che stabiliva che l’uso dell’amianto doveva essere cautelato” e che quindi andavano adottate una serie di misure concrete contro i rischi a cui andavano incontro i lavoratori. Subito dopo la lettura della sentenza la figlia di un operaio deceduto ha gridato “vergogna” e poi fuori dall’aula ha detto: “È una vergogna, uno schifo, mio padre allora è morto per la gloria”. Tra le parti civili, oltre ai familiari di alcuni lavoratori morti, figuravano la Regione Lombardia, il Comune di Arese (in aula era presente anche il sindaco Michela Palestra), l’associazione italiana esposti amianto e il sindacato Slai Cobas.