Nel Paese congenitamente (e irrimediabilmente) machiavellico, dietro ogni minimo refolo che increspa la sfera del potere si cela non di rado un segnale sottotraccia di movimenti in gestazione. Congiure, blitz o semplici “intentonas” (tentativi maldestri). Ne dà conferma ancora una volta l’attualità: qualcosa sta montando nei sotterranei della politica italiana, anche se per ora è molto difficile capire cosa e per andare dove. Nell’affare Ferruccio de BortoliMaria Elena Boschi – la segnalazione a mezzo best seller annunciato di interventi indebiti (e sempre negati) dell’ex ministra nella vicenda familiare riguardante il crack di Banca Etruria – c’è indubbiamente un siluro indirizzato contro il datore di lavoro della stessa.

Quel Matteo Renzi, che subito è scattato in difesa della protetta sciorinando l’ennesimo esempio di perfida carognata fintamente affabile, tipica del modo con cui il Giglio magico e dintorni è solito pugnalare alla schiena (ne sanno qualcosa Enrico Letta e Fabrizio Barca): “De Bortoli ce l’ha con me perché non ne ho favorito l’elezione nel Cda della Rai?”. Colpo sotto la cintura a cui “l’autorevole” (il va sans dire) giornalista ha replicato con tutto il suo più sprezzante birignao, da membro accreditato del country club degli ottimati: “Ne ho rifiutato due volte la presidenza”.

Prendi, incarta e porta a casa, caro il mio ragazzotto di Rignano sull’Arno.

Ma al di là della querelle tra un parvenu arrembante e un riconosciuto portavoce dell’establishment, questo sibilare di coltelli virtuali starebbe a indicare qualcosa di non dichiarato: la sensazione che nel succitato country club un numero non trascurabile di potenti abbia ritirato definitivamente la delega all’ex premier, nonostante tutto il suo agitarsi per ritornare in sella. Il giudizio che dopo il 4 dicembre costui si è rivelato soltanto un macina-balle inefficiente, inutilizzabile per riequilibrare il sistema vincendo il braccio di ferro sul fronte della chiacchiera mediatizzata con Beppe Grillo e il suo Movimento.

Del resto, non è casuale l’utilizzo del de Bortoli come latore del segnale di stop. Visto che già in passato aveva fornito i propri apprezzati servizi nel campo del “messaggio a nuora perché suocera intenda”: quell’editoriale apparso sul Corriere della Sera del 25 settembre 2014 sullo “stantio odore di massoneria” che aleggiava sul patto del Nazareno; e che molti esploratori dei meandri dell’italica politica avevano interpretato come una scudisciata indiretta a Sergio Marchionne, attraverso il suo conclamato partner Renzi. Già allora per conto di soci del country club birignao (Luca di Montezemolo e Diego della Valle?). Nel frattempo, i mandanti di tre anni fa hanno subito un grave processo di appannamento, per cui ancora non si riesce a individuare le nuove manine che danno le spintarelle alla vicenda. Soprattutto il disegno retrostante a quello che altrimenti rimarrebbe uno sgarbo o sgarro gratuito.

Da qui la domanda: c’è qualcuno da qualche parte di un qualche Palazzo che sta progettando una sorta di operazione Macron per l’Italia? Indurrebbe tale sospetto il concerto che ha attivato e sostenuto la polemica attorno a una semplice battuta saltata fuori, quasi casualmente, dopo due centinaia di pagine di un libro di memorie. Ne fa fede – ad esempio – il determinato sostegno di una testata già filo-renziana come la Repubblica; a firma della sua penna più appuntita, quale Massimo Giannini.

Ma se dietro a tutto questo c’è un disegno, risulta difficile immaginare chi possa incarnarlo. L’Emmanuel Macron, realizzato in vitro dagli alambicchi della finanza e della massoneria francese, è comunque espressione di un Paese che ancora possiede istituzioni ben più salde e propulsive delle nostre. E il giovanotto comunque ha saputo preservare un’aura di novità. Chi potrebbe rileggere lo spartito d’oltralpe dalle nostre parti non è dato vedere. Il sempre “in riserva della Repubblica” ma carismaticamente debole Enrico Letta? Lo stesso de Bortoli?

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