Zonaeuro

“Populismi? Forti a Est, dove l’Europa non c’è. Ma se Macron non darà risposte vere, spianerà loro la strada”

Le presidenziali francesi frenano la tanto temuta ondata post-Brexit, che - per ora - in Europa occidentale non si è verificata. Andrea Mammone, professore di Storia dell’Europa Moderna alla Royal Halloway di Londra: "Le Pen ha comunque ottenuto un risultato storico per una forza di estrema destra". Alberto Martinelli, docente di Scienze politiche alla Statale di Milano: "Attenzione a dare per sconfitti i questi movimenti"

Dopo l’Olanda e l’Austria, anche in Francia i partiti nazionalisti escono sconfitti dalle elezioni presidenziali. E tutto accade in un momento storico, dopo la Brexit e il progressivo avanzamento dei movimenti euroscettici, che poteva rappresentare la loro definitiva consacrazione in chiave anti-Bruxelles, in attesa delle politiche tedesche del 24 settembre. Una frenata, quella del Front National di Marine Le Pen che apre le porte alle prime riflessioni degli analisti. “La vittoria di Emmanuel Macron è la più importante conquista degli europeisti nel periodo dell’euroscetticismo”, dice Alberto Martinelli, docente di Scienze Politiche all’Università Statale di Milano. “Il Fn – sostiene invece Andrea Mammone, professore di Storia dell’Europa Moderna alla Royal Halloway di Londra – ha ottenuto un risultato storico per una forza di estrema destra in Europa. Allo stesso tempo, però, non ha raggiunto l’obiettivo del 40%”. Questo risultato, sostiene l’analista dell’università britannica, dimostra come l’onda lunga del populismo post-Brexit non abbia finora avuto effetti nell’Europa Occidentale, ma solo nel mondo anglosassone e nell’Europa dell’est, dove la tradizione politica e “la mancanza di controllo dell’Ue” hanno favorito i piani di partiti come Fidesz in Ungheria e Diritto e Giustizia in Polonia.

Macron, la “grande vittoria dell’Europa Unita”. Ma i populismi non sono morti – Il risultato del primo turno francese aveva già consegnato agli esperti un verdetto esplicito: con l’esclusione dal ballottaggio di socialisti e repubblicani, la Francia ha messo in luce la crisi dei partiti tradizionali. Questa totale sfiducia nei confronti di chi l’Europa ha contribuito a farla nascere non si è tradotta, però, in un voto antieuropeista al secondo turno. “Ha vinto un candidato – dice Martinelli – che ha messo l’Unione Europea al centro del suo programma politico”, contro una fazione, quella lepenista, che invece cavalcava l’euroscetticismo e altri temi caldi come un ritrovato sentimento nazionale e la lotta all’immigrazione. “Questo è un segnale importante per i partiti ‘eurotimidi’ dell’Unione, coloro che hanno paura a dichiararsi sostenitori dell’Ue. Ma attenzione a dare per sconfitti i populismi che, con Le Pen e Jean-Luc Mélenchon, hanno raccolto molti voti: le condizioni che li hanno fatti crescere esistono ancora e se Macron non offrirà risposte europeiste alle diverse crisi in corso in Ue potrebbe spianare loro la strada. In questo senso, è corretto dire che il nuovo presidente francese rappresenta un argine al nazional-populismo”.

“I populismi non attecchiscono in Europa occidentale”. Solo a est, dove l’Ue controlla poco – Secondo Mammone, il Front National ha ottenuto un risultato storico per un partito di estrema destra: “Mai una formazione del genere – dice – aveva preso, nel dopoguerra, oltre 10 milioni di voti. Il fallimento sta nel fatto che si aspettavano il 40% e scommetto che questo porterà anche a una resa dei conti interna”. Certo è che, paragonati ai consensi ottenuti dal primo Fn, quello con a capo Jean-Marie Le Pen, quelli ottenuti dalla figlia rappresentano un vero salto in avanti. Merito anche di un processo di normalizzazione e pulizia interna al partito che ha permesso di attirare il voto di un elettorato più moderato. Una strada che la leader di Fn vuole continuare a perseguire, visto che ha annunciato una rifondazione. “La volontà di raggiungere un elettorato più moderato – dice Martinelli – c’è. Lo si è visto in Francia, in Austria, meno in Olanda. Ma internamente al Fn ci sono delle correnti contrarie a un un’ulteriore svolta moderata”.

Svolta che, sostiene invece Mammone, non c’è mai veramente stata, almeno non nei contenuti programmatici. “Le dichiarazioni razziste e xenofobe del primo Front National – sostiene il docente – sono state in buona parte eliminate, è vero. Ma se si studiano i programmi politici, si noterà come al centro vi siano ancora un forte sentimento nazionalista e una continua distinzione etnica tra francesi e immigrati. Lo testimoniano anche le proposte economiche, come l’aumento delle tasse per chi assume manodopera straniera. Se il padre Jean-Marie parlava di ‘preferenza nazionale’, nel programma di Marine viene sostenuta la ‘priorità nazionale’. Quali differenze ci sono? Non credo al processo di normalizzazione perché il Front National è ancora un partito di estrema destra con militanti di estrema destra”.

Allo stesso modo, il professore della Royal Halloway crede che il nazional-populismo in Europa occidentale abbia fallito, almeno per il momento. “Non parlerei di sconfitta del populismo – dice -, ma gli ultimi risultati elettorali ci hanno consegnato un’evidenza: il cosiddetto effetto domino, l’onda lunga del populismo ha portato a risultati concreti solo nel mondo anglosassone, dove il contesto politico ed economico è diverso, ma non in Europa occidentale. Non scordiamoci, poi, che la Brexit è stata favorita dall’Ukip di Nigel Farage, ma è una conquista soprattutto dei conservatori, non esattamente una formazione anti-sistema. Stessa cosa per l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti: è pur sempre il candidato dei Repubblicani, un outsider in politica ma certamente non estraneo alle dinamiche politiche ed economiche americane”.

Il successo dei nuovi partiti nazionalisti in Unione Europea, che in alcuni casi, come Polonia e Ungheria, sono saliti al governo, si è avuto nei Paesi dell’est. Ma lì, sostengono i due docenti, le motivazioni sono diverse e legate sia alla storia che alla gestione interna all’Ue. “Questi Paesi – spiega Martinelli – hanno nel loro dna ancora un recente passato sovietico. La tradizione politica dell’Europa occidentale lì non esiste, quindi i nazionalismi trovano terreno più fertile”. Dello stesso avviso è anche Mammone: “Fino a pochi decenni fa – conclude – questi Paesi facevano parte dell’Unione Sovietica. Nei casi di Ungheria e Polonia, i partiti al governo non hanno avuto nemmeno bisogno di una svolta moderata per vincere le elezioni. E non credo che ne avranno presto bisogno perché l’Unione Europea mostra scarso interesse o controllo sull’operato di questi esecutivi. Prendiamo il caso ungherese: il governo di Viktor Orbán è autore di leggi e provvedimenti repressivi contro oppositori politici e immigrati. Cosa ha fatto Bruxelles per garantire il rispetto dei principi fondanti dell’Unione? Ancora niente”.

Twitter: @GianniRosini

(Nella foto il murales di Banksy a Dover ispirato alla Brexit: nell’opera un uomo sta cercando di rompere una delle 12 stelle della bandiera europea a colpi di martello)