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Non vivo a Bari da molti anni, ma sono nata qui, e sono qui di passaggio, e come molti baresi, di questo G7 che si è appena concluso so dirvi solo che era il G7 delle Finanze. Nessuno di noi, qui, saprebbe dirvi i nomi dei sette ministri, e neppure dei loro sette paesi: però possiamo snocciolarvi una a una le strade in cui era vietato entrare, quelle in cui era vietato parcheggiare, le differenze per pedoni, bici, auto. Mezzi pubblici. Tra residenti, passanti, esercenti. Sospetti jihadisti. I negozi chiusi, e quelli invece a orario ridotto. Quelli che se ha bisogno, non si preoccupi, mi telefoni e arrivo. I permessi. Le regole e le eccezioni.

Ma per il resto, nessuno di noi sa cosa abbia deciso questo G7. Cosa abbia discusso. Non abbiamo avuto informazioni, solo istruzioni. Istruzioni su come stare lontani.

E il problema è che tutto questo, ormai, è normale. Che siano ministri, presidenti, imprenditori, i signori della terra si barricano nelle loro zone rosse. Imbastendo ogni volta una scenografia del potere che però non è affatto scontata, inscritta nella natura delle cose, ma densa di significati: perché individua a priori la zona del pericolo. Che non è la zona rossa: al contrario, il pericolo siamo noi. Noi cittadini. Che dobbiamo essere tenuti a distanza. Anche se a pensarci, i ministri delle Finanze dovrebbero esserci riconoscenti: siamo stati noi, con le nostre tasse, ad avere salvato le banche dai danni dei banchieri. Ad avergli evitato il fallimento.

Perché fuori dalla zona rossa, a volte qualcuno spacca una vetrina: ma dentro, hanno spaccato la Grecia. Hanno spaccato paesi interi.

E invece, passa quest’idea che dobbiamo rincantucciarci in un angolo, il più in silenzio possibile, e lasciare che i timonieri del mondo si concentrino, e lavorino per noi. Per il nostro bene. Perché in fondo, sono questioni tecniche, no? E loro sono gli esperti. E quindi nessuno ha organizzato un incontro con i cittadini. Così, aperto: un incontro reale, con domande e risposte. E che senso ha spostare questi G7 di città in città, se poi le città non ti interessano?

Ma è tutto normale. Anche perché neppure la sinistra, in tutto questo, nota niente di strano. Anzi. Subito sbuca l’assessore cresciuto dentro Rifondazione che si offre di mostrare agli ospiti la vera Bari: la sorella di Benedetto Petrone, un operaio comunista assassinato negli anni Settanta, la Bari antifascista – anche se Bari, in realtà, per tutta la prima Repubblica è stata la sola città italiana ad avere sempre eletto un parlamentare del Msi.

Non siamo cittadini, siamo folklore.

In una città come questa, una città di precarietà, disoccupazione, e il controllo ancora ferreo dei clan, soprattutto sull’economia, una città di riciclaggio, usura, racket, in cui i boss festeggiano gli omicidi con i fuochi d’artificio, siamo le orecchiette e il limoncello.

Vivo in Medio Oriente. Vivo in paesi di dittatori fintamente eletti. Mi capita spesso di imbattermi in parate, adunate. Queste piazze stracolme, con i ritratti del presidente appesi ovunque. Cercano di convincerci che il popolo è con loro. Ma qui? 

Qui non hanno più neppure bisogno di noi. Ci hanno proprio eliminato dalla scena.

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