Per il gip, la presunta associazione per delinquere vantava "una rete di rapporti, intrattenuti dagli associati, con soggetti esterni all’organizzazione e vicini agli organi di polizia, in grado di rivelare notizie coperte dal segreto d’ufficio". In particolare, si parla di un capitano e di un maresciallo della Gdf (non identificati) e di un colonnello del Nucleo di polizia tributaria di Como (identificato) come informatori
Una talpa nella Procura di Milano. Nella sua ordinanza il gip Giulio Fanales non usa questo termine, ma scrive a chiare lettere che la cosca mafiosa dei Laudani poteva contare sull’appoggio di alcuni informatori di peso, uno dei quali in grado di leggere gli atti dell’inchiesta dai faldoni presenti sulla scrivania di Ilda Boccassini. L’indagine è la stessa che oggi ha portato all’arresto di 14 persone (tra cui alcuni vigilantes del Tribunale di Milano) e al commissariamento di 200 supermercati del marchio Lidl. Nella fattispecie, si legge nell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari, si fa riferimento a una persona, allo stato non identificata, che avrebbe rivelato “agli indagati, quanto appreso visionando direttamente il fascicolo dell’indagine sul tavolo di lavoro del Procuratore Aggiunto della Repubblica, responsabile della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano”. Per il gip, la presunta associazione per delinquere vantava “un rilevante ‘capitale’ di relazioni personali, idonee a procurare informazioni sensibili circa le indagini penali pendenti”. Si tratta “di una rete di rapporti, intrattenuti dagli associati, con soggetti esterni all’organizzazione e vicini agli organi di polizia, in grado di rivelare notizie coperte dal segreto d’ufficio”. In particolare, si parla di un capitano e di un maresciallo della Gdf (non identificati) e di un colonnello del Nucleo di polizia tributaria di Como (identificato) come informatori dei Laudani.
La conferma a questa tesi investigativa è arrivata da un’intercettazione ambientale datata 24 novembre 2016: Nicola Fazio, uno degli arrestati, “rivelava ad Alcicci e Politi“, anche loro finiti in carcere, “di avere appreso dal fratello le seguenti notizie rilevanti, fornite al Fazio Alessandro da una persona che era stata in grado di visionare il loro fascicolo, mentre si trovava sulla scrivania della Dott.ssa Boccassini“. L’indagine, è scritto negli atti, “era tuttora in corso e si riferiva all’ipotesi accusatoria, secondo la quale Fazio Alessandro e Fazio Nicola sarebbe stati impegnati in un’attività di riciclaggio del denaro proveniente dalla Sicilia ed appartenente alla ‘famiglia‘”.