L'ex presidente del Consiglio, dopo la pubblicazione sul Fatto dell'anticipazione del libro di Marco Lillo "Di padre in figlio", ha replicato con un post su Facebook dove attacca i giornalisti e sostiene che Tiziano Renzi abbia subito "pressioni a causa del suo cognome". Nessun riferimento a Luca Lotti, ministro dello Sport e anche lui coinvolto nell'inchiesta
“Ribadita la mia serietà”. “E’ una gogna mediatica, ma le intercettazioni mi fanno un regalo”. Poche ore dopo la pubblicazione del Fatto Quotidiano della conversazione tra Matteo Renzi e il padre Tiziano sulla vicenda Consip, anticipazione del libro di Marco Lillo “Di padre in figlio” in edicola da giovedì 18 maggio, è lo stesso ex presidente del Consiglio a scegliere di replicare su Facebook. Nel lungo post che anticipa la diretta delle 16, il segretario Pd ricostruisce il contesto della telefonata del 2 marzo scorso, fornendo particolari e contorni emotivi sulla “sofferenza” di essersi trovato a “dubitare del padre”. Renzi sceglie invece di tacere sul riferimento a Luca Lotti, ministro allo Sport e indagato nell’inchiesta. “Questa mattina”, scrive, “Il Fatto pubblica con grande enfasi delle intercettazioni tra me e mio padre. Nel merito ribadiscono la mia serietà visto che quando scoppia lo scandalo Consip chiamo mio padre per dirgli: ‘Babbo, questo non è un gioco, devi dire la verità, solo la verità’“. Il segretario Pd attacca quindi la presunta “gogna mediatica” di cui lui stesso dice di sentirsi vittima: “Politicamente le intercettazioni mi fanno un regalo. La pubblicazione è come sempre illegittima ed è l’ennesima dimostrazione di rapporti particolari tra alcune Procure e alcune redazioni. Ma non ho alcun titolo per lamentarmi: non sono il primo a passare da questa gogna mediatica. Anzi: ad altri è andata peggio. Qualcuno si è tolto la vita, qualcuno ci ha rimesso il lavoro”. Renzi rivendica la decisione di aver “affrontato il padre” sulla questione: “Umanamente (le intercettazioni ndr) mi feriscono perché in quella telefonata sono molto duro con mio padre. E rileggendole mi dispiace, da figlio, da uomo. Da uomo delle istituzioni, però, non potevo fare diversamente”. Infine l’accusa a chi fa, secondo Renzi, “una caccia all’uomo“: “Chi ha sbagliato pagherà fino all’ultimo centesimo, comunque si chiami. Spero che valga anche per chi – tra i giornalisti – ha scambiato la ricerca della verità con una caccia all’uomo che lascia senza parole”.
Oggi il Fatto ricomincia con Consip. Spero che la lunga pausa sia servita almeno a cambiare fornitore d’intercettazioni, visti i precedenti
— orfini (@orfini) May 16, 2017
Nella sua lunga riflessione su Facebook, Renzi sostiene che le vicende del padre dipendono dal suo cognome e dalle pressioni politiche che i suoi “avversari” esercitano per danneggiarlo: “Non ha mai visto un tribunale fintantoché suo figlio è diventato premier”, scrive. “Fino a quel momento ha vissuto tranquillamente la sua vita, esuberante e bella: ha 66 anni e proprio sabato scorso ha festeggiato i 45 anni di matrimonio. E’ un uomo felice. Ha conosciuto la giustizia solo dopo che io sono arrivato a Palazzo Chigi”. Secondo l’ex premier, Tiziano Renzi sarebbe stato vittima della lotta contro il figlio: “Non è abituato a questa pressione che deriva dal suo cognome più che dai suoi comportamenti. Gli ricordo che se sa qualcosa è bene che la dica, all’avvocato e al magistrato. La verità prima o poi emerge: è giusto dirla subito”. Ma il segretario dem va oltre: “È entrato in una storia più grande di lui e solo per il cognome che porta. Ieri, per la seconda volta, in tre mesi mio padre era all’ospedale di Careggi per un altro piccolo intervento al cuore. E alla fine mi viene da pensare che sia tutto per colpa mia, solo per il mio impegno in politica. Delle volte mi domando se tutto questo dolore abbia un senso. Se sia giusto far pagare a chi ti sta vicino il fatto che ci sia gente che farebbe di tutto per vedermi politicamente morto”.
Il segretario, nella sua lunga replica, ricostruisce l’episodio in questione e il contesto in cui avviene la conversazione al telefono con il padre: “Sono circa le 9.30 del mattino del 2 marzo”, si legge. Il giorno dopo Tiziano Renzi è atteso a Roma per essere interrogato dai pm Paolo Ielo e Giuseppe Pignatone. “Affronto mio padre. Per me è una telefonata umanamente difficile. Repubblica ha pubblicato una clamorosa intervista a un testimone che riferisce di una cena riservata in una bettola segreta tra mio padre e l’imprenditore Romeo, lo stesso che secondo una ricostruzione dei magistrati di Napoli gli avrebbe dato 30mila euro in nero al mese”. Il riferimento è all’intervista ad Alfredo Mazzei pubblicata sul quotidiano dal titolo: “Il teste e la cena nella bettola: ‘Il manager parlò di strategie con il padre di Matteo’”. “Conosco mio padre e conosco la sua onestà: alla storia dello stipendio in nero da 30mila euro non crede nemmeno un bambino di tre anni. Ma dubito di lui, esperienza che vi auguro di non provare mai verso vostro padre, e sulla cena mi arrabbio”. Renzi dice di aver incalzato il padre sul tema, credendo alla ricostruzione dei giornali: “Ingenuo come sono, credo a Repubblica perché mi sembra impossibile che pubblichino un pezzo senza alcuna verifica: se lo scrivono, sarà vero. Dunque incalzo mio padre”. E a quel punto, scrive Renzi, viene convinto dalla reazione del padre che nega tutto: “Lo interrogo, lo tratto male. Ma sono un figlio. E se tuo padre bluffa lo senti. Mio padre mi ribadisce: non c’è stata nessuna cena, devi credermi. Matteo, è una notizia falsa, devi credermi. Con l’aggiunta di qualche espressione colorita toscana”. Quindi conclude; “I fatti li conoscete. Nelle settimane successive un’altra procura, quella di Roma, indagherà su un capitano dei carabinieri che aveva fatto le indagini su mio padre accusando il militare di falso. La storia diventa torbida con presunti interventi dei servizi segreti, che vengono vergognosamente citati da persone prive di alcuna serietà istituzionale. La vicenda assume contorni inquietanti e l’intrigo si carica ogni giorno di nuovi particolari”. Quindi, dice Renzi, l’inchiesta va avanti: “La vicenda assume contorni inquietanti e l’intrigo si carica ogni giorno di nuovi particolari”. L’ex premier aggiunge di essere “umanamente provato”: “Si vede quando vado in televisione dalla Gruber, ma ribadisco sempre la stessa cosa: vogliamo che sia fatta piena luce su questa vicenda. Gli avvocati hanno materiali per un risarcimento danni copioso. Spero che bastino per pagare i mutui della mia famiglia: perché noi come tutti gli italiani abbiamo i mutui, non le tangenti”.
Infine la chiusa, dove dichiara che “si è superato il limite” e annuncia che risponderà alle domande sulla vicenda in una diretta Facebook in programma alle 16: “Mi ripeto che possono inventarsi di tutto, ma noi non molleremo. Chi ha sbagliato pagherà fino all’ultimo centesimo, comunque si chiami. Possono costruire scandali o pubblicare prove false quanto vogliono. Noi crediamo nella giustizia. Ci fidiamo delle istituzioni italiane. E abbiamo un grande alleato: perché il tempo non cancella la verità. La fa emergere. Tutte le volte che risaliamo nei sondaggi arriva un presunto scandalo a buttarci giù. Forse butterà giù i sondaggi, forse. Ma di sicuro non butterà giù il nostro morale”.