Nella prefazione che scrisse al noto libro di James O’Connor, La crisi fiscale dello Stato, Federico Caffè afferma tra le altre cose che il libro “fornisce validi elementi di critica dal punto di vista convenzionale secondo il quale il settore pubblico si svilupperebbe solo a spese del settore privato”. In realtà, “la crescita del settore statale è indispensabile all’espansione dell’industria privata”. Ciò destituisce di fondamento le ideologie neoliberiste che predicano invece questa inesistente contrapposizione, per nascondere la realtà, che va rivelata e scientificamente indagata. Una realtà che vede, al di là delle favole alla Trump buone per i gonzi che ci credono, un ruolo crescente della spesa pubblica in tutto il mondo e nell’Occidente in particolare. Il problema è che tale spesa pubblica è orientata alla produzione e all’acquisto di sempre più sofisticati macchinari di morte (spese militari, per gli apparati repressivi, ecc.) ovvero al sostegno illimitato alla finanza parassitaria (interessi sul debito, derivati e altri meccanismi truffaldini per estorcere soldi alle organizzazioni pubbliche, interventi per il “risanamento” delle banche e società finanziarie in crisi, ecc.).
Un altro elemento importante della situazione attuale è costituito peraltro anche dall’accumulazione illimitata e sottratta al prelievo fiscale da parte dei settori più dinamici del capitale, in primo luogo quelli che operano sulla e mediante la rete (Google, Amazon, Facebook, ecc.). Costoro che, come i capitalisti in genere, si sono avvalsi e continuano ad avvalersi di un forte sostegno dello Stato che ha creato le condizioni per la loro nascita e la loro crescita, corrispondono com’è noto somme di minima entità al fisco, approfittando del gioco del conflitto e della concorrenza fra gli ordinamenti statali sia sul piano normativo che su quello giurisdizionale (forum shopping).
Ciò crea evidenti problemi di equità dei quali sembrerebbe essersi occupato il recente vertice dei ministri delle finanze del G7 svoltosi a Bari. I risultati sono peraltro molto scarsi e del tutto teorici. Va preso in considerazione il punto 16 del comunicato finale, che fa riferimento al cosiddetto Beps (Base erosion and profit shifting), nonché ad alcune convenzioni internazionali in materia, specificamente a quella dedicata alla prevenzione del fenomeno appena menzionato, che dovrebbe essere firmata il 17 giugno, e quella già vigente sulla collaborazione amministrativa in materia fiscale. Il vertice di Bari ha inoltre adottato l’ennesima solenne dichiarazione per la lotta contro i crimini fiscali. Il problema tuttavia è che, come ben sanno i consulenti fiscali che prosperano ovunque, è molto difficile individuare tali crimini e tracciare una netta distinzione tra di essi e le varie condotte volte all’elusione dei precetti fiscali, grazie anche alla circostanza che le imprese operano in modo mobile attraverso le frontiere mentre gli Stati restano immobili. L’unica soluzione praticabile per ovviare a questa disparità strategica è costituita dalla cooperazione internazionale, il che dimostra fra l’altro l’insufficienza di approcci meramente unilaterali da parte di questo o quello Stato, la cui iniziativa resta peraltro fondamentale.
Il problema di fondo è ribaltare i rapporti di forza tra pubblico e privato, cioè trovare al pubblico un ruolo che non sia puramente servente degli interessi del secondo identificati in modo sbrigativo e fallace con quelli della società nel suo complesso. Mutatis mutandis un discorso analogo va applicato al tema del debito estero, dove il passo in avanti notevole che si era registrato con l’approvazione dei principi giuridici applicabili alla ristrutturazione da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel settembre 2015 rischia di essere vanificato, anche per il venir meno di protagonisti importanti in questa battaglia come l’Argentina della Kirchner, sostituita, almeno temporaneamente, da un alfiere obbediente e zelante degli interessi della finanza come Macri.
In conclusione, fisco e debito restano due terreni fondamentali per la lotta di classe del Terzo Millennio. Risorse sempre più importanti per garantire l’occupazione, i diritti sociali, l’ambiente, il reddito di cittadinanza sempre più indispensabile a sottrarre all’indigenza settori crescenti della popolazione, vengono invece riversate nei forzieri della finanza parassitaria e delle grandi multinazionali che perseguono i propri obiettivi che prescindono sempre più dal benessere generale delle popolazione. Se non si aggredisce questa massa enorme di denaro destinandola a scopi più nobili e utili, ogni governo, anche il meglio intenzionato e più onesto, è destinato a fare dei clamorosi buchi nell’acqua, accontentandosi di decidere in ordine a briciole e temi tutto sommato marginali. Insegnamento che vale anche per chi, come il Movimento Cinque Stelle, propone oggi un’alternativa che non potrà certo limitarsi a tagliare i fondi della politica.