Il colosso canadese della carta Resolute Forest Project si è appellato a una legge antimafia per richiedere un risarcimento che l'associazione non sarebbe in grado di pagare. Per questo ha lanciato una campagna di sensibilizzazione online
Greenpeace rischia grosso. L’attività dell’ong ambientalista infatti è minacciata dal colosso canadese della carta Resolute Forest Project, che ha fatto causa all’organizzazione per diffamazione e crimine organizzato, chiedendo un risarcimento di 300 milioni di dollari. In caso di condanna, l’associazione non sarebbe in grado di pagare tale somma e sarebbe quindi costretta a dichiarare fallimento. Per questo ha lanciato una campagna di sensibilizzazione online, chiedendo alle case editrici, molte delle quali acquirenti dei prodotti di carta di Resolute, di farsi sentire.
Nel 2012 le associazioni ambientaliste avevano accusato la Resolute di aver violato alcuni accordi sulla protezione delle foreste canadesi. Greenpeace aveva definito l’azienda “distruttrice di foreste“, invitando i suoi clienti a boicottarla, e aveva inoltre diffuso alcune foto per documentare la deforestazione delle aree protette ad opera della compagnia, salvo poi ritrattare perché le immagini in realtà erano state scattate da tutt’altra parte. A quel punto la Resolute ha fatto causa alla ong per diffamazione.
“L’uso del termine ‘distruttore di foreste’ è ovvia retorica“, affermava agli inizi di marzo Greenpeace, secondo i documenti depositati in tribunale e riportati dalla stampa americana. “Resolute non ha letteralmente distrutto un’intera foresta”, aveva chiarito, ammettendo che i suoi attacchi erano basati su opinioni soggettive non verificabili, e riguardavano solo l’attività di alloggi di Resolute.
La Resolute sostiene che Greenpeace abbia violato la Rico, una legge contro le associazioni mafiose che permette di richiedere risarcimenti tre volte superiori all’ammontare effettivo dei danni. “Il vero obiettivo di Greenpeace è ricavare guadagni, non salvare l’ambiente”, sostiene l’azienda. “Ha dimostrato più volte che farebbe qualunque cosa pur di ottenere donazioni, compreso inventare prove”. “È un’impresa illegale, un gruppo ambientalista criminale e privo di etica che fa soldi illegalmente per se stesso e per i suoi vertici”.
“Non è giusto”, commenta Rodrigo Estrada, portavoce di Greenpeace. “È un attacco deliberato alla libertà d’espressione”. Nella sua campagna, l’organizzazione ambientalista chiede a case editrici e testate – “un faro per la libertà di espressione in questa società” – che usano carta Resolute di “farsi sentire per la libertà di parola e per la difesa delle foreste”. “Se Resolute dovesse vincere queste cause – dice Amy Moas, senior forest campaigner di Greenpeace Usa – non solo si rischierebbe un mondo senza Greenpeace e i suoi 45 anni di storia di protezione ambientale, ma saremmo di fronte anche a un mondo in cui la libertà d’espressione verrebbe notevolmente ridotta per organizzazioni, individui, artisti, giornalisti e case editrici di tutto il mondo”.