Solo il reddito minimo, garantito e universale, può proteggerci dalla distruzione dei posti di lavoro causata dalla tecnologia. Martin Ford ne è convinto: imprenditore della Silicon Valley, scrittore, speaker, editorialista, nel 2015 il suo libro Rise of the Robots è stato premiato come libro economico dell’anno da Financial Times e McKinsey. Arriva ora in Italia con il titolo Il futuro senza lavoro per Il Saggiatore. Da quando è uscito il libro negli Usa, Martin Ford ha girato il mondo per presentarlo e ha osservato la tecnologia seguire la traiettoria che lui aveva previsto, mettendo a rischio milioni di posti di lavoro in tempi ancora più rapidi di quanto si aspettava: “Ci sono ormai sistemi che possono tradurre il linguaggio parlato in tempo reale e le auto senza conducente diventeranno una realtà prima di quanto pensiate, distruggendo centinaia di migliaia di posti di lavoro”. Tutta colpa dei robot, che minano ormai i meccanismi alla base del capitalismo come lo abbiamo conosciuto.
Martin Ford, cos’è un robot?
Io uso il termine in senso molto lato: qualunque cosa determina automazione.
La tecnologia ha sempre distrutto posti di lavoro creandone però di nuovi. Cosa c’è di diverso ora con i robot?
Le macchine stanno cominciando a pensare, sostituiscono il lavoro del cervello, non più solo quello dei muscoli. A Londra la divisione di Google DeepMind che si occupa di intelligenza artificiale, ha creato un software campione di Go, un gioco di strategia molto più complesso degli scacchi, non basta avere un computer potente per vincere. La tecnologia finora ha distrutto meno lavori di quelli che creava perché noi siamo stati capaci di usarla in modo creativo. Ma che succede se la tecnologia stessa diventa creativa?
Che genere di lavori sono a rischio nei prossimi 10 anni?
Non è questione di basso salario o basso valore aggiunto, ma ripetitività. Se in teoria qualcuno può capire come funziona il tuo lavoro sulla base di dati e resoconti, allora il tuo lavoro può essere distrutto dall’automazione. E’ il caso per esempio dei medici radiologi: serve un grande investimento di tempo ed energie per sviluppare una capacità diagnostica che già ora è inferiore a quella di alcuni sistemi automatizzati.
Quindi cosa consiglia ai giovani che devono scegliere un percorso?
Evitare una carriera che sia routinaria e prevedibile. Meglio essere creativi, non solo artisti, ma anche come ingegneri o scienziati capaci però di pensare out of the box, come si dice in inglese, cioè in modo originale. Sono relativamente al riparo anche i lavori che richiedono molta interazione umana, come i servizi della o quelli che richiedono relazioni complesse e mutevoli con i clienti.
Se la troppa innovazione finisce per avere più costi che benefici, distruggendo posti di lavoro e dunque consumatori, il mercato non dovrebbe correggersi da solo rallentando il ritmo del cambiamento?
Molti lavori saranno distrutti e molte persone avranno meno soldi da spendere, ma ci sarà un’incredibile opportunità di produrre cose e servizi in modo più economico e disponibile per tutti, con incredibili innovazioni per esempio in campo medico. Non penso sia utile e salutare dire ai nostri figli “non avrete più progresso”. Dobbiamo preoccuparci che ne benefici il maggior numero di persone possibile.
In Italia c’è un dibattito intorno allo slogan “lavorare meno, lavorare tutti”. È possibile?
E’ un’idea utile, se combinata con un reddito di cittadinanza. Ma dipende dal Paese: negli Stati Uniti certi lavori sono pagati così poco che non puoi sopravvivere riducendo il salario in cambio di più tempo libero. Ed è un approccio praticabile per i lavoratori dipendenti ma non per i professionisti.
Perché serve anche il reddito di cittadinanza?
Se molti posti di lavoro andranno distrutti per colpa dei robot, dobbiamo assicurarci che le persone abbiano comunque soldi da spendere o l’effetto perverso dell’innovazione sarà di paralizzare tutta l’economia. Costa molto, certo: negli Usa 1000 miliardi all’anno se vogliamo darlo a tutti quelli che hanno tra i 21 e i 65 anni. Molti dicono che è socialismo, ma in realtà è un approccio molto market oriented: l’alternativa è una massiccia ingerenza dello Stato nella vita delle persone con case sociali, sussidi, ammortizzatori ecc.
E come si finanzia?
Intanto rivedendo gli attuali schemi di welfare state. E poi con con alcune tassi, per esempio sulla anidride carbonica.
Chi lo deve ricevere?
Tutti, anche chi ha già un reddito, deve essere universale per evitare che si trasformi in un incentivo a non lavorare. Molti Paesi soprattutto del Nord Europa hanno benefici generosi per i disoccupati ma producono un esito paradossale: chi non lavora riceve più soldi di chi accetta un posto di lavoro poco attraente, per esempio in un fast food. Le resistenze maggiori alla mia proposta le ho trovate proprio nei Paesi che hanno una solida tradizione di welfare state. Comprensibilmente, sono molto restii a metterla in discussione.
Finora l’istruzione è stata la migliore assicurazione contro il rischio di perdere il lavoro. E’ ancora così?
La ragione principale perché le persone studiano è per avere una carriera migliore. Per colpa della tecnologia, ci sono molti più college graduates che non riescono a trovare i lavori che cercavano e finiscono a lavorare da Starbucks. Se il rendimento dello studio è più basso, bisogna trattare l’istruzione come un bene pubblico: alla società servono comunque persone istruite, perché sono cittadini migliori. E quindi bisogna incentivare l’istruzione a prescindere dalla carriera che garantisce.
I robot stanno cambiando anche la politica?
Senza reddito minimo garantito e universale avremo più Donald Trump. Le persone chiedono due cose loro lavoro: i soldi e la sensazione di fare qualcosa di importante. C sono molte persone che fanno un sacco di cose gratis, come i software open source senza essere pagati.Il reddito minimo incentiva queste collaborazioni gratuite ma anche l’imprenditorialità: se hai un paracadute, puoi permetterti di rischiare un po’ di più. L’alternativa è avere persone sempre più arrabbiate e frustrate che votano chi predica rabbia. Magari un robot ti ruba il lavoro e te la prendi con gli immigrati.
Bill Gates ha proposto di tassare i robot per generare risorse per la collettività.
Il problema è che è difficile definire cosa è un robot. Se hai un robot in una fabbrica è facile tassarlo, ma se una grande azienda usa un software la tassiamo comunque? E’ pur sempre automazione. E se negli Usa tassi i robot ma la Cina non lo fa, si regala a un Paese concorrente un vantaggio competitivo. Tassare i robot è soltanto un modo di rallentare un progresso, e il progresso porta anche molte cose cui non siamo disposti a rinunciare.