Nel dossier "Acque in Abruzzo 2017: i dati e le ragioni del fallimento", l'associazione ambientalista fornisce una fotografia impietosa del grado di salute dei corpi idrici di superficie e sotterranei. E non risparmia dure critiche alla Regione
È grave la condizione dei corsi d’acqua abruzzesi, sempre più inquinati. Non sono bastati lo scandalo di Bussi e le polemiche più recenti legate agli sversamenti di acqua contaminata dall’esterno dei laboratori di Fisica nucleare del Gran Sasso. Il nuovo dossier del Forum H20, Acque in Abruzzo 2017: i dati e le ragioni del fallimento, parla chiaro. L’associazione ambientalista ha sviscerato le relazioni dell’Arta, l’agenzia regionale per la tutela ambientale, nel periodo 2010-2015. Il primo elemento che balza all’occhio è come l’Abruzzo non si sia per nulla uniformato agli obiettivi di qualità prescritti dall’Unione europea in materia. Il 71% dei fiumi e il 52% dei corpi idrici sotterranei si allontana infatti dallo standard richiesto dalla direttiva 60/2000 “Acque”.
E sono innumerevoli gli episodi di inquinamento delle acque sotterranee, dove è stata riscontrata la presenza di nitrati, ione ammonio, solventi clorurati, tetracloroetilene, cloruro di vinile, cloroformio e tricloroetilene. Con un’impennata nel 2015, l’ultimo anno sotto esame, quando i corpi idrici sotterranei in condizione scadente sono passati da 14 a 17 (su un totale di 27). E dire che costituiscono la più grande riserva di acqua potabile, una sorta di assicurazione per la vita per il genere umano. Stessa musica per i fiumi, anch’essi in generale peggioramento. A cominciare dalla provincia di Chieti, in cui solo il 21,5% dei tratti fluviali rispetta gli obiettivi minimi comunitari mentre il 46 per cento si attesta come “scarso” e “cattivo”.
La provincia di Pescara spicca per un preoccupante 69% di campioni risultati positivi alla salmonella nel 2015. Poco meglio nel Teramano (38,5% di adesione ai dettami dell’Ue) e nel comprensorio dell’Aquila (45%). Sotto accusa, oltre agli scarichi industriali, i pesticidi usati dagli agricoltori e le politiche regionali. “Basta osservare i dati del tutto fuori controllo per nitrati e ione ammonio per capire come sia del tutto fallita la strategia degli ultimi Piani di Sviluppo rurale, che dovevano contenere le emissioni e risanare le acque sotterranee – scrive il Forum H20 -. L’agricoltura deve fare molto di più, sia in termini di riduzione di fertilizzanti e fitofarmaci sia per le captazioni a uso irriguo. Occorre introdurre tecnologie che in altre regioni sono utilizzate da decenni. Non servono nuove infrastrutture “pesanti”; serve tecnologia diffusa”.
Non è stato facile accedere agli atti dell’Arta. “Sono stati pubblicati lunedì, e solo in seguito al pressing della nostra associazione sulla Regione. Non si può più andare avanti così, e se per i fiumi è più facile accorgersi di problemi e intervenire, per le acque sotterranee la circolazione dei dati è fondamentale per aumentare la consapevolezza dello stato critico di un patrimonio strategico”. Servirebbe, sempre secondo gli attivisti del Forum H20, una reale volontà di tutela pubblica delle aree di ricarica delle falde mentre si “continuano a realizzare industrie, cave e infrastrutture in aree ad alto rischio idrogeologico”. Ci vorrebbe una carta di vincoli specifici a presidio di un bene fondamentale come l’acqua, e invece “la Regione Abruzzo continua ad autorizzare nuove captazioni a scopo idroelettrico sul Vomano e sul Giovenco dove in questi anni le acque non hanno fatto che peggiorare”. Altra nota dolente gli annunciati investimenti sulla depurazione. “Poi però per i 5,4 km della fondovalle Sangro si spende la stessa cifra destinata a tutti i depuratori regionali”. I comuni dovrebbero essere obbligati “a segnalare i siti industriali dismessi a rischio inquinamento”, e “la rimozione dei rifiuti lungo i fiumi” dovrebbe diventare la norma. Alla ricerca del tempo perduto. “Sono stati persi decenni in questo settore. Ci vuole una svolta radicale che però, dobbiamo dirlo amaramente, tarda a venire”.