Un post in cui spiega di volere la "andare fino in fondo" nell'inchiesta della procura di Roma, condito da una serie di attacchi frontali al Fatto Quotidiano e a Marco Lillo. Niente scuse per la bugia sul giornalista e ancora nessuna parola sul virgolettato più interessante del colloquio telefonico intercettato con suo padre
E tre. Per la terza volta in tre giorni Matteo Renzi interviene su facebook per parlare dell’indagine Consip. Un post in cui spiega di volere la “verità” sull’inchiesta della procura di Roma, condito da una serie di attacchi frontali al Fatto Quotidiano e a Marco Lillo. “È una gogna mediatica, ma le intercettazioni mi fanno un regalo”, aveva detto l’ex premier il giorno della pubblicazione da parte del nostro giornale della telefonata intercettata con il padre Tiziano. Tre giorni dopo continua a lanciare attacchi sia al Fatto che all’autore di quello scoop.
Ma non solo. Perché per la terza volta di seguito Renzi evita con cura di parlare di quel “Luca”, citato dallo stesso segretario del Pd al telefono con il padre Tiziano. Uno dei virgolettati più interessanti – sul piano giudiziario – di quel colloquio che però l’ex premier continua ad ignorare. “Io non voglio essere preso in giro e tu devi dire la verità in quanto in passato la verità non l’hai detta a Luca e non farmi aggiungere altro. Devi dire se hai incontrato Romeo (Alfredo, l’imprenditore al centro dell’inchiesta Consip) una o più volte e devi riferire tutto quello che vi siete detti”, intima Renzi al genitore, nel colloquio pubblicato nel libro Di padre in figlio (PaperFirst) e anticipato dal Fatto. Chi è il “Luca” di cui parla il segretario del Pd? È forse Luca Lotti, il ministro dello Sport indagato nell’inchiesta Consip per rivelazione di segreto? Per il terzo giorno di seguito Renzi non lo dice e preferisce mettere nel mirino il giornale che ha pubblicato quell’intercettazione invece di spiegare a cosa si riferisse nel colloqui con il padre.
“Sulle intercettazioni: il Pd non chiede di cambiare la legge ma chiede che tutti rispettino la legge che già c’è. Legge che vale per chiunque: inquirenti, giornalisti, politici”, scrive l’ex sindaco di Firenze, spiegando che “nella vicenda Consip di queste ore noi siamo dalla parte della legalità: abbiamo rispettato la legge, noi”. Per la verità un esponente di spicco del Giglio Magico – e cioè Luca Lotti – è indagato per rivelazione di segreto, mentre suo padre – come è noto – è accusato di concorso in traffico di influenze. Tutti elementi che però l’ex premier continua ad ignorare e mai citare. Al contrario Renzi va all’attacco del capitano del Noe Giampaolo Scafarto, finito sotto inchiesta per falso. “Noi non abbiamo fabbricato prove false, noi. Noi non abbiamo inventato ad arte un coinvolgimento dei servizi segreti, noi”, è un altro passaggio del post di Renzi, che poi attacca – ancora – Marco Lillo. “Noi non abbiamo pubblicato arbitrariamente atti di procedimenti penali”, continua il segretario del Pd: il riferimento è al fatto che Lillo è indagato dalla procura di Roma proprio con quell’ipotesi di reato dopo lo scoop sulla telefonata tra Matteo e Tiziano Renzi.
La pubblicazione di quel colloquio telefonico, però, per Renzi non è una notizia ma solo un “magnifico show mediatico, diversivo per vendere qualche copia in più di un libro”. Anche questa volta, tra l’altro, l’ex premier “dimentica” di porgere le sue scuse al nostro giornalista, dopo la menzogna di due giorni fa. “Lillo mi conosce, già in un caso abbiamo fatto una transazione, che c’è ma io mi sono impegnato a non rilevare i contenuti dell’accordo su una notizia falsa che lui aveva scritto su di me”, aveva sibillato l’ex sindaco di Firenze martedì durante la diretta di matteorisponde, il suo primo intervento social sulla vicenda. A cosa si riferiva il segretario del Pd? A una storia risalente a otto anni fa, smentita – con dati alla mano – non solo da Lillo ma anche da Gianluca Di Feo, che ne ha fornito la corretta ricostruzione: “Le parole pronunciate ieri da Matteo Renzi non sono corrette: sono io l’autore dell’errore in quell’articolo de “l’Espresso” firmato assieme a Marco Lillo nel dicembre 2008″, scrive il vicedirettore de La Repubblica, all’epoca dei fatti caporedattore del settimanale, assumendosi con la massima correttezza la responsabilità dell’accaduto. Parole anche queste completamente ignorate da Renzi. “Non permetteremo che su questa indagine cali il sipario o il silenzio. Andremo fino in fondo. Vogliamo la verità“, continua invece oggi Renzi su facebook. Concludendo casualmente il suo post con la parola verità. Quella stessa verità che Renzi senior non avrebbe detto a Luca, come gli ha testualmente rimproverato il figlio al telefono. Chi sia quel Luca, però, non è dato sapere. Neanche dopo tre giorni e altrettanti interventi su facebook.