5. Renzino, nel non dare risposte su Facebook, ha calunniato Marco Lillo accusandolo di avergli fatto firmare in passato un patto di segretezza dopo una causa persa. E’ falso: Renzi firmò il patto con un collega di Lillo all’Espresso (oggi vicedirettore di Repubblica), coautore di un pezzo con Lillo all’Espresso, che effettivamente perse una querela con lui. Lillo non perse nessuna querela e non firmò nessun patto di segretezza. Renzino è così: quando ha torto, sparacchia la palla in tribuna. Ma con Lillo gli va male: non è un Lavia qualsiasi.
6. La reazione dei renzini di allevamento alla telefonata Renzino/Renzone è identica a quella dei berluschini quando la magistratura “attaccava” Berlusconi. Ma proprio identica. Il problema, per loro, non è che la politica abbia la rogna, ma che i giornalisti lo dicano senza talora rispettare appieno il protocollo. Avviso breve ai naviganti: se i giornalisti seguissero sempre le regole (dettate dal potere), non farebbero le pulci al potere. E infatti, spesso, non le fanno. E’ comunque sconcertante come Renzino (si fa per dire) stia a Berlusconi come i renzini ai berluschini. Orfini vale un Ghedini, andrearomano vale una Biancofiore, Genny Migliore vale una Santanché. Com’è finito male, il Pd: anni e anni a fingere di attaccare Berlusconi, per poi venerarne la sua brutta copia. Una prece.
7. Dire che Renzino, nella telefonata, faccia un figurone è vero in parte. Certo che lì sembri l’uomo probo, e magari lo è, ma al tempo stesso dimostra di avere più volte mentito in tivù. Non solo: quella telefonata dimostra che attorno a Renzi regni un crocicchio sconcertante di ambizioni personali, arrivisti, odore stantio di massoneria (cit.), conflitti di interessi e affari equivoci. Più che giglio magico, qua siamo di fronte a un giglio tragico. Tragicissimo. Se questo è il nuovo, ridateci Gava.