L’ultimo che è tornato libero è Giulio Caporrimo, il boss di San Lorenzo finito sui giornali solo alcuni mesi fa perché nel carcere di Parma era diventato il confidente di Massimo Carminati, il capo dei capi di Mafia capitale. Prima aveva cominciato a farsi vedere in giro anche chi ha un cognome pesante, di quelli che ancora oggi incutono timore e deferenza negli interlocutori: è il caso di Calogero Lo Piccolo, ultimo di una stirpe che stava scatenando una nuova guerra di mafia appena un decennio fa. Quindi ci sono le teste pensanti, quelli che hanno saputo diversificare gli introiti dell’associazione criminale: hanno perso beni per milioni di euro, confiscati dallo Stato, ma hanno azzerato i conti con la giustizia e adesso sono tornati in libertà. L’album di famiglia è poi completato da nomi di rango che già da mesi sono tornati a passeggiare in libertà nei loro quartieri d’origine: come Gaetano Scotto, indicato dai pentiti come il trait d’union tra Cosa nostra e i servizi segreti negli anni neri delle bombe.
Scarcerazioni eccellenti: i dubbi degli analisti – La Palermo che si prepara a ricordare il venticinquesimo anniversario delle stragi di mafia è una città che si va ripopolando di soldati e padrini, capi e gregari, boss e tirapiedi. C’è chi ha finito di scontare la pena, chi ha ottenuto il riscatto di alcuni anni di carcere grazie al cosiddetto cumulo, chi semplicemente è stato fortunato: si attendeva una condanna pesante ma ne ha ricevuto una molto più leggera. È in questo modo che tra il 2016 e i primi mesi del 2017 sono tornati a casa una serie di personaggi che hanno fatto la storia recente di Cosa nostra. Una serie di scarcerazioni che ha destato l’attenzione degli investigatori, impegnati ad aggiornare in tempo reale la mappa degli storici mandamenti mafiosi cittadini: da San Lorenzo alla Noce fino all’Acquasanta e Porta Nuova. “Nel semestre in esame risultano scarcerati 41 soggetti ritenuti uomini d’onore, affiliati o vicini alle cosche palermitane, tra i quali la moglie del reggente della famiglia della Noce”, segnalava la Dia nella relazione 2016. Oggi la situazione non è cambiata. Anzi gli investigatori iniziano a delineare una sorta di emergenza. “Se è vero che Cosa nostra è un’organizzazione che da alcuni anni sembra aver ridotto e quasi contenuto le proprie attività è vero pure che questo è avvenuto anche perché le varie famiglie sono state decapitate ciclicamente. Senza capi di un certo spessore è difficile riorganizzare le attività dei clan”, ragionano gli analisti antimafia. Come dire: le caselle al vertice della piovra lasciate libere dai vari blitz potrebbero presto essere riempite da alcuni dei personaggi tornati liberi di recente.
Il questore: “Preoccupati, Cosa nostra si rigenera” – Ed è per questo motivo che venerdì 12 maggio persino il questore di Palermo ha lanciato il suo allarme, intervenendo ad un convegno nel capoluogo siciliano. “Questi recenti ritorni in libertà ci preoccupano un po’“, sono le parole pronunciate da Renato Cortese, uno dei poliziotti più esperti di cose di mafia. Prima di tornarci nel febbraio scorso da questore, infatti, Cortese a Palermo aveva guidato per anni la squadra Catturandi che nel 2006 aveva messo le manette ai polsi di Bernardo Provenzano: l’atto finale di una latitanza record lunga 43 anni. “La nostra preoccupazione è dovuta al fatto che gli uomini tornati liberi hanno avuto ruoli non proprio al vertice ma non certo secondari dentro all’organizzazione. Oggi Cosa Nostra è un’organizzazione criminale costantemente in cerca di leadership, alla ricerca di personaggi che appunto possano vantare un certo carisma: per questo monitoriamo ogni singolo movimento”, spiega Cortese al fattoquotidiano.it. “Cosa Nostra – continua – ha la capacità di rigenerarsi continuamente e ha bisogno di qualcuno che possa coordinare i rapporti tra le varie forze dell’associazione”. Il questore non lo dice apertamente ma una delle maggiori preoccupazioni degli investigatori è che l’ultima ondata di scarcerazioni possa avere restituito ai vari mandamenti boss e padrini addirittura più forti e influenti rispetto a quando sono stati arrestati. Il motivo? I vari legami che possono avere intrecciato nel frattempo dentro ai penitenziari speciali.
Il “coinquilino” di Carminati – Il caso limite è proprio quello di Caporrimo, che nel carcere di Parma faceva parte dei “coinquilini” di Carminati, cioè il gruppo di reclusi in regime di 41 bis che trascorrevano insieme l’ora di socialità. “Quando avevo 16 anni andavo in giro armato di pistola, quando poi i miei amici sono tutti morti ammazzati, io mi sono specializzato in quello che loro (cioè i pm della procura di Roma, ndr) dicono e mi accusano, ma non hanno capito che gli piscio in testa se voglio”, è una delle confidenze che Er Cecato fa a Caporrimo. Segno evidente che il boss di Mafia capitale sa di essere al cospetto di uno degli uomini vicini a Messina Denaro: con l’inafferrabile latitante Caporrimo avrebbe avuto contatti almeno fino al 2011, data del suo arresto.
La riorganizzazione della piovra – Fedelissimo del boss Salvatore Lo Piccolo e referente palermitano dell’ultima primula rossa di Cosa nostra, il boss ha già dimostrato di sapere sfruttare a suo vantaggio i periodi di reclusione. Nel suo precedente soggiorno in carcere aveva condiviso la cella con il figlio di Mariano Agate, storico mafioso di Mazara, era diventato amico di Cosimo Lo Nigro, condannato all’ergastolo per la strage di Capaci, aveva stretto rapporti con esponenti della ‘ndrangheta e della camorra. Quando nell’aprile del 2010 torna in libertà diventa subito il nuovo pezzo da Novanta di San Lorenzo. È in quella veste che nel febbraio del 2011 Caporrimo è l’organizzatore del grande vertice di Villa Pensabene: un summit con i boss di tutti i principali mandamenti della città che per gli inquirenti doveva servire a riorganizzare Cosa nostra. Un tentativo stroncato dal grande blitz che poco dopo portò in carcere trentasei persone, incluso lo stesso Caporrimo.
Il ritorno di Lo Piccolo junior – I suoi avvocati, però, sono stati abili: lo hanno fatto assolvere in appello per un’estorsione e hanno ottenuto che la condanna a 10 anni fosse cumulata con le altre già scontate in precedenza. Due mesi fa, dunque, è tornato a Palermo dove libero da qualche tempo è pure Calogero Lo Piccolo, figlio di Salvatore, detto il barone, e fratello di Sandro: arrestati nel 2007, entrambi sono stati condannati all’ergastolo. Uscito di galera nel 2006 dopo avere scontato nove anni, Lo Piccolo junior era stato riarrestato nel 2008. Adesso troverà nel mandamento che un tempo era il regno di suo padre anche Giovanni Giacalone: per gli inquirenti è stato il braccio imprenditoriale dei boss di San Lorenzo. Per questo motivo ha dovuto rinunciare a 270 milioni di euro di beni, tra supermercati e società, che gli sono stati confiscati.
Porte aperte a Porta Nuova – All’Aquasanta, invece, è tornato a circolare Vincenzo Di Maio, settantanni, uno dei fedelissimi di Bernardo Provenzano. “Vincenzo Di Maio si gestiva anche l’Acquasanta, incontri interni, perché Antonio Pipitone si manteneva più distante per avere contatti con esponenti a livello imprenditoriale. Tutto reggeva Di Maio”, ha messo a verbale – come ha raccontato livesicilia.it – il pentito Vito Galatolo, rampollo della storica famiglia mafiosa della borgata marinara di Palermo. Spostandosi verso il centro della città ha il suo scarcerato eccellente anche la famiglia di Porta Nuova, dove nel maggio del 2016 è tornato libero Nicola Milano: in passato indicato come vicino al boss emergente Gianni Nicchi ora ha il divieto di dimora nel capoluogo. Nelle intercettazioni – come appunta il mensile S – confidava di avere il timore di finire dentro per almeno 15 anni: alla fine ne ha fatti quattro e mezzo. È stato condannato in appello a otto anni e cinque mesi Tommaso Di Giovanni che a Porta Nuova era il reggente. Solo che la sentenza definitiva è arrivata tardi: a dicembre sono scaduti i termini di carcerazione e Di Giovanni è dunque tornato libero.
Il ritorno dei pezzi da Novanta – Ha trascorso più di vent’anni in galera, invece, Giuseppe Dainotti, ex braccio destro di Salvatore Cancemi, che per la verità nel suo fascicolo alla voce fine pena aveva scritto: mai. È uno dei tanti ricorrenti ai quali la Corte costituzionale ha dato ragione consentendogli di scontare trent’anni e non l’ergastolo come previsto da una legge del 2000. Libero addirittura dal gennaio del 2016 è invece Gaetano Scotto, uno dei più misteriosi padrini dell’Acquasanta. Per alcuni collaboratori di giustizia era lui l’uomo cerniera tra le cosche e i servizi segreti nei primi anni ’90. La procura di Caltanissetta aveva puntato i riflettori su alcune sue telefonate fatte poco prima che una Fiat 126 imbottita di esplosivo facesse strage di Paolo Borsellino e degli uomini della scorta. Erano indirizzate a castello Utveggio sul monte Pellegrino, dove avrebbero posto la loro base una serie di agenti del Sisde: una pista poi abbandonata dagli investigatori.
Anche perché, nel frattempo, il pentito Gaspare Spatuzza aveva cominciato a collaborare con i magistrati riscrivendo la fase esecutiva della strage e sbugiardando il falso pentito Vincenzo Scarantino. È in questo modo che sono stati scagionati Scotto e altri sei imputati condannati all’ergastolo per l’eccidio. A quel punto l’uomo dell’Acquasanta è uscito di galera, nonostante fosse ancora indagato per l’omicidio del poliziotto Antonino Agostino e della moglie Ida Castelluccio. I pm per lui hanno poi chiesto l’archiviazione ma la procura generale ha avocato l’inchiesta. Il giorno in cui Scotto ha riacquistato la libertà tornando a passeggiare nella sua borgata, a Vincenzo Agostino – il padre dell’agente assassinato nel 1989 – hanno assegnato la scorta. “Ringrazio le istituzioni per queste misure di sicurezza ma quanta amarezza – aveva commentato Agostino senior – io sono praticamente agli arresti domiciliari, l’uomo accusato di aver ucciso mio figlio, invece, è libero”. E da qualche tempo non è solo.
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