Strane cose dal mondo mentre un’America lacerata e isterica fatica a mantenere il controllo degli scenari in cui è impegolata. Ora è l’Arabia Saudita che manifesta ripetutamente segni di inquietudine e di rivalsa.
Inquietudine ben giustificata se si tiene conto che Riyadh è letteralmente appesa alla protezione americana e israeliana, e ha fondati motivi per credere che una tale America sia sempre più bisognosa di cure psichiatriche. Inquietudine che potrebbe innescare inedite reazioni vendicative, per quanto collidenti con l’interesse strategico. Come nei casi che qui stiamo esaminando, che si stanno trasformando in accuse devastanti per l’immagine e il ruolo guida di Washington.
La più clamorosa delle quali è la rivelazione saudita secondo cui “l’11 settembre 2001 è stato una operazione esclusivamente americana, progettata ed eseguita all’interno degli Stati Uniti”. Boom! Affondati in un colpo solo i servizi segreti americani e i debunkers che da sedici anni difendono la versione ufficiale dell’11/9.
La dichiarazione è uscita sul quotidiano saudita (con sede a Londra), Al-Hayat, firmata dall’esperto legale del governo saudita, Katib Al-Shammari. Dichiarazione interessante, ma soprattutto “interessata” in quanto Riyadh è impegnata a sottrarsi alle accuse di avere partecipato in varie forme all’attacco terroristico, e di evitare quindi il micidiale codazzo di indennizzi alle famiglie delle vittime che si rovescerebbero sulle finanze dei sovrani feudali dell’Arabia Saudita. Dunque l’offensiva di Katib Al-Shammari sarebbe finalizzata a bloccare in anticipo sentenze di qualche tribunale americano. Tant’è che qualche mese fa il governo saudita ha fatto sapere a Washington che, in caso ci si incamminasse su questa strada, Riyad sarebbe pronta a ritirare quasi un miliardo di dollari dalle banche americane.
Il piatto è ricco e Katib non pronuncia parole al vento in un momento d’ira. L’11 settembre – ha detto – è uno dei temi che hanno consentito agli Usa gettare la colpa su una serie variabile di capri espiatori: da Al-Qaeda ai Taliban, dal regime iracheno di Saddam Hussein all’Arabia Saudita. E ora la minaccia di pubblicare documenti che proverebbero la partecipazione saudita all’atto terroristico dell’11/9 sarebbe la “solita operazione” di scaricare il barile sulle spalle altrui.
Il legale saudita entra pesantemente nel merito della ormai più che quindicinale disputa: “Tutte le persone ragionevoli del mondo, che conoscono le politiche americane e che hanno esaminato immagini e video [dell’11/9] , sono unanimemente concordi sul fatto che l’assalto alle Twin Towers fu una operazione esclusivamente americana, pianificata e portata a compimento all’interno degli Stati Uniti. Prova di ciò è la sequenza di continue esplosioni che drammaticamente si verificò lungo entrambi gli edifici (…). Esperti ingegneri strutturali li demolirono con esplosivi, mentre gli aerei che si sfracellarono [contro di essi] diedero il via libera alle detonazioni, ma non furono il motivo dei collassi”.
Credere in toto al signor Katib Al-Shammari non è possibile, essendo egli stipendiato per difendere Riyadh. Lo si vede bene là dove egli, insistendo sull’operazione “esclusivamente pianificata e portata a compimento negli Usa”, difende i suoi patrocinati e il Mossad israeliano, oltre all’intelligence pachistana Isi: tutti comprovatamente e variamente partecipi dell’operazione. Tuttavia chi — come me e i milioni di persone che non hanno mai creduto alla versione ufficiale dell’11 settembre — possono sentirsi in qualche misura confortati da queste deduzioni, che provengono dal campo avversario e sono destinate comunque, prima o dopo, a far saltare il coperchio della menzogna.
Ma quella di Katib Al-Shammari non è l’unica cicogna a volare fuori formazione. Il mese scorso un altro cittadino arabo-saudita, il direttore del Centro d’informazioni per gli Studi arabo russi, Dottor Majed Abdulaziz Al-Turki, ha sorpreso il foltissimo uditorio di militari di tutto il mondo (eccetto i paesi Nato) riuniti a Mosca per la Sesta Conferenza sulla Sicurezza Internazionale, con una relazione in cui ha dichiarato con tutta chiarezza che i gruppi terroristici “esprimono non se stessi ma le intenzioni di forze ignote, non visibili, in quanto sottoposti ai servizi segreti di alcuni paesi”.
Non è entrato nel dettaglio e non ha rivelatori di quali paesi stesse trattando ma, affinché non vi fossero dubbi sul significato delle sue deduzioni, ha aggiunto che questi gruppi “non hanno ideologia“, i loro scopi sono “mutevoli in quanto corrispondono ai desiderata degli sponsor e di coloro che li assoldano”. In altri termini il rappresentante saudita ha descritto i gruppi terroristici come mercenari al servizio di altri paesi, non necessariamente islamici.
Se il cognome Al-Turki indica – come si presume – la nobile famiglia di provenienza, si deve immaginare che, anche in questo caso, qualcuno a Riyadh stia cominciando a perdere la pazienza e lascia intendere che è pronto a dire, se necessario, chi guida la danza della guerra in Siria e chi c’è dietro al Califfato.
Siamo dunque di fronte a fughe di notizie che, tutte insieme, chiariscono come gli alleati degli Stati Uniti sono ben consapevoli, anche i più fedeli, del ricatto, cui sono sottoposti in continuazione, mediante la pubblicazione di materiali compromettenti. Se vale per l’Arabia Saudita, non c’è motivo di pensare che non valga per tutti gli altri, compresi gli alleati europei (intendendosi tanto di Stati quanto, personalmente, dei loro leaders).
Così si spiega assai bene come mai questi signori siano così inclini a prendere decisioni assurde, o apertamente contrarie ai loro interessi. Al punto che talvolta ci si chiede come sia possibile che siano diventati così stupidi. La spiegazione di un tale dilemma è invece molto semplice: essi eseguono ordini sotto ricatto.