Vorrei fare qualche considerazione attorno alla storia dei suicidi di adolescenti finiti nel gorgo del gioco virtuale Blue Whale, riguardo alla diffusione virale della notizia e alle successive attività preventive che potrebbero realmente coinvolgere gli adolescenti del mondo connesso.
Benché si possa comprendere la preoccupazione rispetto ai suicidi degli adolescenti e benché ci siano diverse esperienze sul piano della prevenzione, occorre fare qualche riflessione sull’accoppiata prevenzione e suicidio.
Prevenire vuol dire necessariamente “ammalare”. Pensate, per esempio, allo stato d’animo quando si fanno dei controlli oncologici; pensate all’angoscia, a come il corpo risuona minaccioso. Oppure pensate al vaccino, piccolo virus inoculato proprio per generare anticorpi in grado di curare; pensate a tutta la bagarre attuale sull’obbligatorietà dei vaccini. E’ senza dubbio difficile accettare che entrare in contatto con una sostanza comporti sempre un margine di rischio.
Adesso pensiamo alla prevenzione del suicidio fra gli adolescenti. Per poter prevenire dobbiamo inoculare, infettare, anche poco, il corpo-mente con l’idea del suicidio, anche solo per poterlo nominare. Bisogna far girare quell’idea dentro di sé, bisogna nominare qualcosa che di solito si ha paura di nominare.
Parlare del suicidio è ancora un tabù, anche per chi lo pensa dentro di sé.
Gli adolescenti, quelli che lo considerano una scelta, i pro-choise, ne parlano su chat private, piuttosto chiuse. La questione è delicata. I tabù hanno un loro senso, con i tabù talvolta l’umanità si è salvata da se stessa. I tabù non sono sempre vetusti baluardi da far saltare.
Quindi, se è vero che si temono i suicidi cercati, avvenuti o che potrebbero avvenire, da Blue Whale o da 13 reasons why, occorre anche considerare i suicidi come effetti collaterali, come rischi, da attività preventive. Si potrebbe obiettare che queste sarebbero fatte da esperti. Come qualunque altra attività preventiva.
Il rischio non dipende dalla competenza di chi svolge l’attività preventiva, ma dall’attività preventiva in sé; la mente non fa differenza se qualcosa è reale o immaginario, se è promosso o vietato.
Allora non si fa nulla? Certo che si fa qualcosa. Si può e si deve lavorare intorno al malessere, al sentirsi esistente, all’essere in relazione; intorno agli appagamenti in isolamento narcisistico, intorno alla fatica del vivere e alla mancanza di senso, fardelli pesanti a tutte le età. Il benessere sembra aumentare queste problematiche, ma un’esperienza e un sentimento di socialità vera possono aiutare a reggere.
@GiuCinque