In nome del principio della non democraticità della scienza il professor Roberto Burioni ha sentenziato che la parola dei medici vale di più di quella di chi non ha studiato medicina. Così ha patrocinato sulla sua pagina Facebook il provvedimento che istituisce l’obbligo delle vaccinazioni negli asili e nelle scuole per l’infanzia come “una grandissima vittoria per tutti, in primo luogo per i bambini, e soprattutto per quelli che non sarebbero stati vaccinati da genitori incoscienti e avrebbero corso gravi rischi; poi per tutti quelli che non si sono potuti vaccinare, che non si sono ancora vaccinati e per tutti noi”. “Poteva andare meglio – aggiunge – ma immagino che in politica sia necessario accontentarsi”. Per fortuna, diremmo noi, che il governo Gentiloni-Renzi si è accontentato, perché 12 vaccini obbligatori non sono previsti in nessun altro paese del mondo.
Chi non si affianca all’urlo di vittoria dei nuovi difensori della sanità pubblica forse sarà anche “un ignorante” come dice Burioni. Ma forse conviene ricordare ai fautori del metodo scientifico che la cosiddetta “scienza medica” con la sua mole di dati statistici e epidemiologici non è l’unica fonte di legittimazione di un dibattito democratico.
Poco tempo fa Richard Horton il direttore di Lancet, una delle più famose riviste scientifiche al mondo, ha scritto che fino alla metà dei cosiddetti “articoli scientifici” apparsi sulle riviste mediche accreditate potrebbe avere una base non scientifica. E ciò non solo a causa della poco ortodossia del metodo o della grandezza dei campioni utilizzati, ma anche per il flagrante conflitto di interessi che vige tra studiosi, medici e case farmaceutiche. Sul British Medical Journal un’altra delle riviste internazionali leader degli studi medici nel 2016 è stato pubblicato un articolo intitolato Medical error—the third leading cause of death in the US in cui si dimostra che un terzo della mortalità negli Stati Uniti è causata da errori di tipo medico.
Per quanto riguarda le grandi malattie, l’epidemiologo Tom Jefferson, membro della prestigiosa Cochrane Collaboration in un intervista allo Spiegel (A whole industry is waiting for a pandemic – Der Spiegel, 21 luglio 2009) ricordava come il timore dell’immanenza delle pandemie è stato costruito artificialmente attraverso una riformulazione del termine da parte dell’Organizzazione mondiale della Sanità che ha cancellato dalla vecchia definizione di “virus che si diffonde velocemente e per cui non c’è alcuna immunità” le caratteristiche di “causa di un numero elevato di malattie e di elevata mortalità” aprendo così la strada alla lotta dei governi a virus descritti come terrificanti che in realtà poi non si diffondono mai come è stato il caso dell’influenza suina alcuni anni fa in Italia.
Ma se così stanno le cose, cosa significa affermare che la scienza medica non è democratica? Ricordare per esempio che il morbillo è una malattia che causa ancora decine di migliaia di morti all’anno solo tra i bambini del mondo nei paesi in cui è assente un sistema sanitario decente e le condizioni di indigenza spaventose è un atto che osta al principio dell’interrogazione e dell’argomentazione su cui si fonda un dibattito veramente democratico? Sostenere che il calo del tasso di mortalità della pertosse da 42,5 casi per 100.000 nel 1890 a 0 casi nel 2016 è dovuto forse più al generale miglioramento delle condizioni di vita che non ai vaccini è populismo?
Oppure menzionare il rischio di pressione dei colossi farmaceutici sul sistema politico per favorire l’introduzione di vaccini – così come è accaduto con l’Engerix B che era costato all’ex ministro De Lorenzo la condanna per avere intascato una tangente di 600 milioni dal colosso farmaceutico Glaxo SmithKline – significa rifiutare a prescindere i risultati della ricerca scientifica? O vuol dire più democraticamente portare posizioni e interrogativi affinché il dibattito pubblico come sosteneva Habermas possa essere formato su basi più argomentative e deliberative?
Purtroppo nella nuova era della post democrazia renziana, l’impressione è che molti, troppi, parlino a sproposito di cosa deve essere democratico e cosa no. La democrazia non è però un gioco per apprendisti stregoni.