L'ex sindaco di Milano conferma, già per giugno, il progetto di riunire un "campo largo e aperto": "Stop alle liti personali, si ragiona sulle idee". Ma avverte il segretario del Pd sulla legge elettorale: "Vedo il bicchiere mezzo pieno, ma il centrosinistra è un cammino condiviso". Niente Partito della Nazione a corrente alternata, insomma. Per ora il leader dem tace. E per D'Alema è il segno che bisogna già mettere mani alle liste dei candidati
La sfida appare impossibile, più vicina al sogno che al progetto. Rifare il centrosinistra, rianimarlo dopo che il vecchio Ulivo è un ricordo malconcio, dopo altri anni di risse, tradimenti, spaccature in certi casi insanabili. Ma ora Giuliano Pisapia, il nuovo Prodi, decide di voler fare presto: a giugno, annuncia da Fondamenta (la convention di Mdp) a Roma nascerà l’embrione di una nuova alleanza del centrosinistra. Chissà come sarà, di sicuro Pisapia lo vuole così: un campo largo, aperto, dove si è uniti per le stesse idee, gli stessi principi, con realtà civiche, ambientaliste, di sinistra. Ma il punto è quanto sarà largo, quel campo. Cioè se ci sarà il Pd, se ci sarà Matteo Renzi. “Se Renzi vorrà farne parte sarà lui a deciderlo” risponde Pisapia con il consueto mezzo sorriso.
L’ex sindaco di Milano continua a non scaricare nessuna delle due parti che lui vorrebbe mettere insieme e che continuano a non parlarsi, anzi a non ascoltarsi, nonostante sostengano lo stesso governo. Da una parte Renzi e i renziani, dall’altra l’ex sinistra Pd di Bersani e D’Alema. E infatti subito dopo che Pisapia rilancia per la centesima volta il suo invito ecumenico a confrontarsi sui programmi e sulle idee lasciando fuori le questioni personali, Roberto Speranza sale sul palco di Fondamenta e fa capire che lo spartito è quello che già ha detto Bersani in queste ore: gli accordi si fanno col Pd, non con Renzi. Detto così è un po’ complicato visto che Renzi è appena stato riconfermato segretario con cifre bulgare. Ma Speranza sottolinea: “In un Paese normale ci sarebbe il centrosinistra, ma la realtà è che il centrosinistra si è rotto non su questioni personali ma per scelte politiche sbagliate. Capisco il tentativo di riunire nelle parole di Giuliano, ma serve chiarezza limpida: serve un’alternativa, qui non si tratta di addolcire il renzismo ma di superarlo“. Pisapia nel suo intervento alla manifestazione di Mdp aveva appena finito di ripetere che “è un errore sempre dividersi sulle parole e sulle persone ma ancora più grande dividersi sulle speranze e sui progetti. C’è bisogno di un immenso sforzo collettivo per lavorare con chi ci sta vicino, ma, guardando lontano, dobbiamo superare le lacerazioni e fare di tutto per trovare la sintesi su un programma. Questo è il centrosinistra a cui guardo e credo, non sono un sognatore, ma non voglio lasciare il Paese alla destra”.
Tra gli ex Pd il sentimento più comune non è esattamente la fiducia nel progetto. Massimo D’Alema, per esempio, pensa già alle liste per le candidature: “Leggo di un accordo per andare a votare ad ottobre – dice riferendosi alla nuova apertura di Silvio Berlusconi al Pd sulla legge elettorale – Quindi bisogna riunirsi con chi c’è e fare le liste perché senza le liste non si prendono i voti”. Tanto che Mdp, con il capogruppo alla Camera Francesco Laforgia, si sente “le mani libere” nei confronti del governo Gentiloni se i voucher “rientrassero dalla finestra” dopo averli eliminati “per evitare di essere travolti dal referendum”.
Ma già ora Pisapia fa capire che non andrà avanti ad ogni costo, non verrà trascinato in un nuovo ennesimo partitino: “O sarà campo largo o non sarà. Non sarà una mera lista elettorale, sarebbe una ridotta troppo angusta, abbiamo bisogno di pensieri forti e liberi“. Per questo scandisce che non accetterà “furberie” sulla legge elettorale, il sistema misto maggioritario-proporzionale simile a quello tedesco, che sulla carta potrebbe favorire quelle che Pierluigi Bersani le “geometrie variabili”. Sembra una tecnicalità ma non la è. Lo spiega meglio Laforgia, che si chiede se il centrosinistra si intende per una comunità di destino o un meccanismo artificioso” per cui “in un collegio sostieni un compagno e in un altro un verdiniano” o “un esponente del partito di Alfano“.
A rassicurare sulle intenzioni del Pd (e sulla volontà di mettere da parte, a questo giro, il mito dell’autosufficienza) era stato nei giorni scorsi il vicesegretario del Pd, Maurizio Martina. Ma Pisapia stempera l’euforia e avverte di nuovo: sulla legge elettorale “c’è stato un piccolo passo avanti, Prodi dice ‘meglio un osso che niente’, io che il bicchiere è mezzo pieno, ma dico insieme a voi che non accettiamo furberie: il centrosinistra è un programma condiviso, un cammino condiviso, un leader condiviso”. Il partito della Nazione a corrente alternata, insomma, non è compreso.
Nel frattempo nel Pd non parla nessuno. Lo fa il prodiano Franco Monaco per il quale Pisapia è l’unico “in grado di ricostruire la vera unità di un vero centrosinistra di governo”. E poi parla Cesare Damiano che un tempo era nella stessa corrente di sinistra di Martina in sostegno di Gianni Cuperlo e ora ha ritentato la fortuna all’ultimo congresso puntando su Andrea Orlando. L’iniziativa di Pisapia, dice l’ex ministro del Lavoro, “apre una prospettiva e una speranza politica”. Noi come minoranza del Pd, dice, “dobbiamo lavorare affinché questa sfida venga raccolta per costruire un programma politico di centrosinistra. Non è con la riedizione di un partito neocentrista che si può sperare di battere la deriva populista”. Renzi, invece, zitto.