“Sono venuto in questa sacra e antica terra per riaffermare i legami invincibili tra noi e Israele”. Sono le prime parole pronunciate da Donald Trump al suo arrivo in Israele. Poco prima il presidente israeliano Reuven Rivlin aveva detto: “Lei è il presidente del più importante alleato di Israele”. Come previsto, la visita di Trump a Gerusalemme inizia con l’espressione della più esplicita comunanza di interessi e di un calore che gli otto anni di presidenza di Barack Obama avevano incrinato.
L’assoluta sintonia diplomatica è continuata anche nelle fasi successive della visita. Dopo che, alcuni giorni fa, Trump aveva riaffermato il suo impegno per la soluzione dei due Stati, il premier Benjamin Netanyahu ha spiegato che “Israele condivide l’impegno del nuovo presidente per la pace e porge la mano ai palestinesi”. Trump è tornato, nel suo colloquio col primo ministro israeliano, sulla vicenda dei segreti di intelligence rivelati ai diplomatici russi durante l’incontro alla Casa Bianca. “Non ho mai fatto il nome di Israele come fonte delle nostre informazioni”, ha detto Trump. Entrambi i leader si sono anche affrettati a indicare il nemico comune: l’Iran. “L’Iran fomenta una terribile violenza e Stati Uniti e Israele sono concordi nel pensare che l’Iran non debba possedere armi nucleari”, ha spiegato il presidente Usa.
A prima vista, l’accordo tra i due storici alleati sembra dunque totale. A ben vedere però, anche queste prime ore del viaggio di Trump in Israele mostrano impercettibili differenze. Al ministro dell’Educazione, Naftali Bennett, che gli ha detto: “ci aspettiamo che lei sia il primo presidente che riconosca una Gerusalemme unificata sotto la sovranità israeliana”, Trump ha risposta con un vago: “E’ un’idea!” Proprio in queste ore il segretario di stato Rex Tillerson si è rifiutato di dire che il Muro Occidentale si trova in Israele. E, nonostante continui a ripetere che ci si trova di fronte a una straordinaria opportunità per arrivare a “un accordo finale” che porti a una pace regionale, Trump non ha per il momento svelato nulla delle sue future mosse.
Il fatto è che il viaggio di Trump in Israele presenta più zone d’ombra – e rischi, soprattutto per Israele – di quanto a prima vista possa sembrare. E’ vero che questo viaggio ha per l’amministrazione americana un valore particolare. Da mesi il genero di Trump, Jared Kushner, lo prepara con cura. Le due diplomazie ci stanno lavorando in modo da dargli un valore non semplicemente diplomatico o politico. La visita di Trump allo Israel Museum, martedì, ha proprio lo scopo di fare quello che Barack Obama non ha mai fatto davvero: parlare all’opinione pubblica israeliana, rassicurarla sull’appoggio incondizionato statunitense.
Il viaggio in Israele arriva poi dopo il viaggio in Arabia Saudita, durante il quale Trump ha espresso posizioni che non possono non piacere a Netanyahu; anzi, si tratta di idee e suggestioni che avrebbe potuto esporre lo stesso Netanyahu. Trump ha per esempio invocato un’alleanza del mondo arabo sunnita contro l’Iran; ha messo sostanzialmente sullo stesso piano lo Stato Islamico, al Qaeda, Hezbollah e Hamas; è tornato a fare del terrorismo, e della paura, il fulcro della politica estera americana nell’area.
Il messaggio non può, appunto, che piacere a Netanyahu e alla destra israeliana; è un messaggio che, come hanno mostrato diversi commentatori, cancella ogni preoccupazione di violazione dei diritti umani nei Paesi del Golfo e fa dell’Iran il vero “villano” dell’area; un messaggio che fa della questione del nucleare iraniano e delle varie ramificazioni dell’islamismo radicale la minaccia più forte. E’ esattamente quello che Obama si era rifiutato di fare e che aveva precipitato i rapporti tra Stati Uniti e Israele al punto più basso nella loro storia.
Tutto bene per il governo israeliano, dunque? Non proprio. Il discorso che Trump ha rivolto al mondo arabo in Arabia Saudita nasconde infatti alcune cose poco gradite a Gerusalemme (che sicuramente verranno nascoste nelle celebrazioni delle prossime ore, ma che non per questo smettono di essere vere). A Ryad, Trump si è per esempio dimenticato di menzionare Israele tra i Paesi che hanno sofferto del terrorismo. Più importante ancora, ha fatto soltanto una breve menzione alla pace israelo-palestinese e l’ha comunque inserita nell’ambito di una “cooperazione tra le tre religioni monoteistiche”.
Proprio la questione religiosa è stata rilanciata con un fervore inatteso nel discorso di Trump a Ryad. La parola “Dio” è stata pronunciata per ben nove volte nel discorso di Ryad. Trump ha invitato a pregare per la pace, ha citato i Children of God e ha peraltro fatto di tutto per visitare i luoghi sacri delle tre religioni monoteistiche (Arabia Saudita, Israele e infine Roma). Questo fervore quasi biblico può fare buona impressione sugli evangelici americani ma sicuramente non ottiene altrettanto favore nella destra di Gerusalemme, per cui i diritti del popolo ebraico sulla terra di Israele non possono essere frutto di una contrattazione tra le parti, in particolare tra i rappresentanti delle tre religioni monoteistiche.
C’è poi un’altra verità spiacevole per Israele che il discorso di Ryad rivela. Senza farvi diretto riferimento, Trump ha sostanzialmente rilanciato il tema dell’America First, della scelta di una politica estera americana che abbandona ogni ambizione di fare il guardiano del mondo e si concentra sull’interesse primario americano. E l’interesse primario americano, ha fatto chiaramente capire Trump, è a questo punto soprattutto la lotta al terrorismo e non la soluzione del conflitto israelo-palestinese. Le prossime ore potranno quindi svelare nuovi piani o spiegare meglio le posizioni. Per il momento, sotto l’espressione dell’amicizia più calda, a Gerusalemme si fa largo un timore: che Israele non sia più così centrale per gli interessi americani.
Mondo
Trump ribadisce il “legame invincibile” con Israele. Ma Netanyahu teme di non essere più centrale negli interessi Usa
A Ryad il capo della Casa Bianca ha sì indicato nell'Iran il nemico comune, ma il viaggio in Arabia Saudita ha anche rilanciato il tema dell'America First, della scelta di una politica estera che abbandona ogni ambizione di fare il guardiano del mondo e si concentra sull'interesse primario degli Stati Uniti
“Sono venuto in questa sacra e antica terra per riaffermare i legami invincibili tra noi e Israele”. Sono le prime parole pronunciate da Donald Trump al suo arrivo in Israele. Poco prima il presidente israeliano Reuven Rivlin aveva detto: “Lei è il presidente del più importante alleato di Israele”. Come previsto, la visita di Trump a Gerusalemme inizia con l’espressione della più esplicita comunanza di interessi e di un calore che gli otto anni di presidenza di Barack Obama avevano incrinato.
L’assoluta sintonia diplomatica è continuata anche nelle fasi successive della visita. Dopo che, alcuni giorni fa, Trump aveva riaffermato il suo impegno per la soluzione dei due Stati, il premier Benjamin Netanyahu ha spiegato che “Israele condivide l’impegno del nuovo presidente per la pace e porge la mano ai palestinesi”. Trump è tornato, nel suo colloquio col primo ministro israeliano, sulla vicenda dei segreti di intelligence rivelati ai diplomatici russi durante l’incontro alla Casa Bianca. “Non ho mai fatto il nome di Israele come fonte delle nostre informazioni”, ha detto Trump. Entrambi i leader si sono anche affrettati a indicare il nemico comune: l’Iran. “L’Iran fomenta una terribile violenza e Stati Uniti e Israele sono concordi nel pensare che l’Iran non debba possedere armi nucleari”, ha spiegato il presidente Usa.
A prima vista, l’accordo tra i due storici alleati sembra dunque totale. A ben vedere però, anche queste prime ore del viaggio di Trump in Israele mostrano impercettibili differenze. Al ministro dell’Educazione, Naftali Bennett, che gli ha detto: “ci aspettiamo che lei sia il primo presidente che riconosca una Gerusalemme unificata sotto la sovranità israeliana”, Trump ha risposta con un vago: “E’ un’idea!” Proprio in queste ore il segretario di stato Rex Tillerson si è rifiutato di dire che il Muro Occidentale si trova in Israele. E, nonostante continui a ripetere che ci si trova di fronte a una straordinaria opportunità per arrivare a “un accordo finale” che porti a una pace regionale, Trump non ha per il momento svelato nulla delle sue future mosse.
Il fatto è che il viaggio di Trump in Israele presenta più zone d’ombra – e rischi, soprattutto per Israele – di quanto a prima vista possa sembrare. E’ vero che questo viaggio ha per l’amministrazione americana un valore particolare. Da mesi il genero di Trump, Jared Kushner, lo prepara con cura. Le due diplomazie ci stanno lavorando in modo da dargli un valore non semplicemente diplomatico o politico. La visita di Trump allo Israel Museum, martedì, ha proprio lo scopo di fare quello che Barack Obama non ha mai fatto davvero: parlare all’opinione pubblica israeliana, rassicurarla sull’appoggio incondizionato statunitense.
Il viaggio in Israele arriva poi dopo il viaggio in Arabia Saudita, durante il quale Trump ha espresso posizioni che non possono non piacere a Netanyahu; anzi, si tratta di idee e suggestioni che avrebbe potuto esporre lo stesso Netanyahu. Trump ha per esempio invocato un’alleanza del mondo arabo sunnita contro l’Iran; ha messo sostanzialmente sullo stesso piano lo Stato Islamico, al Qaeda, Hezbollah e Hamas; è tornato a fare del terrorismo, e della paura, il fulcro della politica estera americana nell’area.
Il messaggio non può, appunto, che piacere a Netanyahu e alla destra israeliana; è un messaggio che, come hanno mostrato diversi commentatori, cancella ogni preoccupazione di violazione dei diritti umani nei Paesi del Golfo e fa dell’Iran il vero “villano” dell’area; un messaggio che fa della questione del nucleare iraniano e delle varie ramificazioni dell’islamismo radicale la minaccia più forte. E’ esattamente quello che Obama si era rifiutato di fare e che aveva precipitato i rapporti tra Stati Uniti e Israele al punto più basso nella loro storia.
Tutto bene per il governo israeliano, dunque? Non proprio. Il discorso che Trump ha rivolto al mondo arabo in Arabia Saudita nasconde infatti alcune cose poco gradite a Gerusalemme (che sicuramente verranno nascoste nelle celebrazioni delle prossime ore, ma che non per questo smettono di essere vere). A Ryad, Trump si è per esempio dimenticato di menzionare Israele tra i Paesi che hanno sofferto del terrorismo. Più importante ancora, ha fatto soltanto una breve menzione alla pace israelo-palestinese e l’ha comunque inserita nell’ambito di una “cooperazione tra le tre religioni monoteistiche”.
Proprio la questione religiosa è stata rilanciata con un fervore inatteso nel discorso di Trump a Ryad. La parola “Dio” è stata pronunciata per ben nove volte nel discorso di Ryad. Trump ha invitato a pregare per la pace, ha citato i Children of God e ha peraltro fatto di tutto per visitare i luoghi sacri delle tre religioni monoteistiche (Arabia Saudita, Israele e infine Roma). Questo fervore quasi biblico può fare buona impressione sugli evangelici americani ma sicuramente non ottiene altrettanto favore nella destra di Gerusalemme, per cui i diritti del popolo ebraico sulla terra di Israele non possono essere frutto di una contrattazione tra le parti, in particolare tra i rappresentanti delle tre religioni monoteistiche.
C’è poi un’altra verità spiacevole per Israele che il discorso di Ryad rivela. Senza farvi diretto riferimento, Trump ha sostanzialmente rilanciato il tema dell’America First, della scelta di una politica estera americana che abbandona ogni ambizione di fare il guardiano del mondo e si concentra sull’interesse primario americano. E l’interesse primario americano, ha fatto chiaramente capire Trump, è a questo punto soprattutto la lotta al terrorismo e non la soluzione del conflitto israelo-palestinese. Le prossime ore potranno quindi svelare nuovi piani o spiegare meglio le posizioni. Per il momento, sotto l’espressione dell’amicizia più calda, a Gerusalemme si fa largo un timore: che Israele non sia più così centrale per gli interessi americani.
TRUMP POWER
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Roma, 13 mar. (Adnkronos) - Il governo è "determinato" a contrastare l'evasione fiscale e allo stesso tempo alleggerire la pressione sui contribuenti onesti. Per il taglio delle tasse al ceto medio bisognerà aspettare gli esiti a fine marzo della verifica della commissione tecnica sullo stock dei debiti fiscali da 1.275 miliardi di euro. Il nuovo corso del governo per le verifiche ex ante, intanto, sta portando i primi frutti con un calo del 19% dei contenziosi nei primi due mesi dell'anno. Nel suo intervento alla cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario tributario 2025 alla Camera il viceministro al Mef Maurizio Leo si è soffermato su punti fermi e benefici attesi dalla riforma fiscale.
"Il tema dell'evasione fiscale è sotto gli occhi di tutti, abbiamo un tax gap che oscilla tra 80 e 100 miliardi e dobbiamo assolutamente contrastarlo, come pure la pressione fiscale su cui il governo si è mosso con determinazione, riducendo aliquote da 4 a 3 e rendendo strutturale questa misura cui si aggiunge il taglio del cuneo", ha sottolineato Leo. Accanto a questi due pilastri della lotta all'evasione e della riduzione della pressione fiscale, anche quello della semplificazione e della certezza del diritto, pilastro fondamentale quest'ultimo per "contrastare fenomeni illeciti, ma al tempo stesso attrarre capitali da estero", ha aggiunto.
Il tutto rafforzando 'l'arsenale' ex ante per indirizzare su un percorso di collaborazione i rapporti tra Stato e contribuente. In questa cornice il concordato preventivo biennale e della cooperative compliance stanno portando i primi frutti: nei primi due mesi del 2025 rispetto ai primi due mesi del 2024 c'è stata "una contrazione del contenzioso tributario" con un calo "del 19% dei nuovi giudizio incardinati", ha detto Leo, rilevando che "in alcune corti del Sud il calo si attesta addirittura al 50%".
Si attende per fine mese l'esito della requisitoria tecnica sullo stock dei crediti non riscossi dall'amministrazione fiscale. La Commissione tecnica, istituita presso il Mef sul riordino della riscossione e l'analisi del magazzino in carico all'Agenzia delle entrate-Riscossione "sta facendo la ricognizione e all'esito di questo faremo le opportune valutazioni, penso che entro fine mese avremo dei riscontri", ha detto Leo.
La verifica sui carichi renderà più chiaro il quadro su quanti possono essere abbandonati, quanti gestiti in modo differente e quanti possono, eventualmente, essere oggetto di una rottamazione. Considerando che la montagna dello stock ammonta a 1.275 miliardi e che circa tre quarti sono debito sotto i mille euro si aprirebbero ampie chances di recupero. Ma la prudenza è d'obbligo, visto che molte appartengono a soggetti defunti o falliti.
Dalle risorse eventualmente disponibili si capirà se possibile procedere al taglio Irpef per i redditi fino a 50-60mila euro. "Vediamo le risorse e come si può fare", ha risposto Leo interpellato sulla questione. Al momento il governo può contare sugli 1,6 miliardi del gettito del concordato preventivo biennale che si è chiuso a dicembre scorso a cui andrebbero aggiunti gli incassi del ravvedimento speciale che scade il 31 marzo prossimo.
Roma, 13 mar. (Adnkronos) - Il governo è "determinato" a contrastare l'evasione fiscale e allo stesso tempo alleggerire la pressione sui contribuenti onesti. Per il taglio delle tasse al ceto medio bisognerà aspettare gli esiti a fine marzo della verifica della commissione tecnica sullo stock dei debiti fiscali da 1.275 miliardi di euro. Il nuovo corso del governo per le verifiche ex ante, intanto, sta portando i primi frutti con un calo del 19% dei contenziosi nei primi due mesi dell'anno. Nel suo intervento alla cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario tributario 2025 alla Camera il viceministro al Mef Maurizio Leo si è soffermato su punti fermi e benefici attesi dalla riforma fiscale.
"Il tema dell'evasione fiscale è sotto gli occhi di tutti, abbiamo un tax gap che oscilla tra 80 e 100 miliardi e dobbiamo assolutamente contrastarlo, come pure la pressione fiscale su cui il governo si è mosso con determinazione, riducendo aliquote da 4 a 3 e rendendo strutturale questa misura cui si aggiunge il taglio del cuneo", ha sottolineato Leo. Accanto a questi due pilastri della lotta all'evasione e della riduzione della pressione fiscale, anche quello della semplificazione e della certezza del diritto, pilastro fondamentale quest'ultimo per "contrastare fenomeni illeciti, ma al tempo stesso attrarre capitali da estero", ha aggiunto.
Il tutto rafforzando 'l'arsenale' ex ante per indirizzare su un percorso di collaborazione i rapporti tra Stato e contribuente. In questa cornice il concordato preventivo biennale e della cooperative compliance stanno portando i primi frutti: nei primi due mesi del 2025 rispetto ai primi due mesi del 2024 c'è stata "una contrazione del contenzioso tributario" con un calo "del 19% dei nuovi giudizio incardinati", ha detto Leo, rilevando che "in alcune corti del Sud il calo si attesta addirittura al 50%".
Si attende per fine mese l'esito della requisitoria tecnica sullo stock dei crediti non riscossi dall'amministrazione fiscale. La Commissione tecnica, istituita presso il Mef sul riordino della riscossione e l'analisi del magazzino in carico all'Agenzia delle entrate-Riscossione "sta facendo la ricognizione e all'esito di questo faremo le opportune valutazioni, penso che entro fine mese avremo dei riscontri", ha detto Leo.
La verifica sui carichi renderà più chiaro il quadro su quanti possono essere abbandonati, quanti gestiti in modo differente e quanti possono, eventualmente, essere oggetto di una rottamazione. Considerando che la montagna dello stock ammonta a 1.275 miliardi e che circa tre quarti sono debito sotto i mille euro si aprirebbero ampie chances di recupero. Ma la prudenza è d'obbligo, visto che molte appartengono a soggetti defunti o falliti.
Dalle risorse eventualmente disponibili si capirà se possibile procedere al taglio Irpef per i redditi fino a 50-60mila euro. "Vediamo le risorse e come si può fare", ha risposto Leo interpellato sulla questione. Al momento il governo può contare sugli 1,6 miliardi del gettito del concordato preventivo biennale che si è chiuso a dicembre scorso a cui andrebbero aggiunti gli incassi del ravvedimento speciale che scade il 31 marzo prossimo.
Palermo, 13 mar. (Adnkronos) - All'alba di oggi i Carabinieri del Comando Provinciale di Messina e i Finanzieri dei Comandi Provinciali di Catania e Messina hanno effettuato una vasta operazione nelle Province di Messina e Catania, con l’esecuzione di misure cautelari emesse dai Gip dei Tribunali del capoluogo peloritano e di quello etneo, su richiesta delle rispettive Procure, nei confronti 39 persone, a vario titolo indagate, per associazione a delinquere di stampo mafioso, associazione finalizzata al narcotraffico, numerosi episodi di spaccio di stupefacenti, estorsione, rapina, accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti - tutti reati aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1 del codice penale "poiché commessi con metodo mafioso o con il fine di agevolare il clan Cappello-Cintorino' e trasferimento fraudolento di valori.
Le due ordinanze sono il risultato dello stretto coordinamento investigativo attuato tra gli Uffici Giudiziari di Catania e di Messina, sotto la supervisione della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, al fine di monitorare più efficacemente le persistenti attività, anche di sfruttamento economico del territorio, proprie dei citati clan per effetto delle cointeressenze nei territori “di confine” delle due province.
I particolari dell’operazione saranno forniti nel corso di una conferenza stampa che sarà tenuta alle ore 10:30, presso il Palazzo di Giustizia di Messina (via Tommaso Cannizzaro).
Palermo, 12 mar. (Adnkronos) - "Affronterò il processo con la massima serenità e con la consapevolezza di poter dimostrare la correttezza del mio operato, avendo sempre agito nel pieno rispetto del regolamento previsto dall’Assemblea Regionale Siciliana. Non ho mai, nella mia vita, sottratto un solo centesimo in modo indebito e confido che nel corso del giudizio emergerà la verità, restituendo chiarezza e trasparenza alla mia posizione. Resto fiducioso nella giustizia e determinato a far valere le mie ragioni con il rispetto e la serietà che ho sempre riservato alle istituzioni". Così Gianfranco Miccichè, rinviato a giudizio per l'uso dell'auto blu, commenta il processo che partirà a luglio. "Sono però amareggiato da quanto la stampa riporta sul fatto che, secondo il pm avrei arraffato quanto più possibile- dice - Nella mia vita non ho mai arraffato alcun che e su questo pretendo rispetto da parte di tutti".
Palermo, 12 mar. (Adnkronos) - L'ex Presidente dell'Assemblea regionale siciliana Gianfranco Miccichè è stato rinviato a giudizio con l'accuaa di peculato e concorso in truffa aggravata il. La prima udienza del processo si terrà il 7 luglio davanti alla terza sezione del tribunale di Palermo. Secondo l'accusa il politico, ex viceministro dell'Economia, avrebbe usato l'auto blu in dotazione, in quanto ex Presidente dell'Ars, per fini personali. In particolare avrebbe usato, non per fini istituzionali, l’Audi della Regione, per una trentina di volte, tra marzo e novembre del 2023, anche per fare visite mediche, e persino per andare dal veterinario con il gatto. Avrebbe fatto salire sull'auto anche componenti della sua segreteria e familiari.
Il suo ex autista, Maurizio Messina, che ha scelto il rito abbreviato, è stato invece condannato dal giudice per l’udienza preliminare Marco Gaeta a un anno e mezzo di carcere per truffa, più sei mesi con l'accusa di avere sottratto la somma che gli era stata sequestrata durante le indagini.
Milano, 12 mar. (Adnkronos) - La Corte di Assise di Appello di Milano ha assolto, ribaltando la sentenza a sette anni inflitta in primo grado, Salvatore Pace per il concorso nell'omicidio di Umberto Mormile, l'educatore del carcere di Opera ammazzato l'11 aprile 1990. Il delitto fu rivendicato dalla Falange Armata, organizzazione terroristica sulla quale gravitavano mafiosi, 'ndranghetista e componenti dei servizi segreti deviati. Mormile, 34 anni, venne assassinato a Carpiano, nel Milanese, mentre andava al lavoro, quando due individui in sella a una moto esplosero contro di lui sei colpi di pistola. Secondo l'accusa, Pace, 69 anni, diventato collaboratore di giustizia, si sarebbe messo a disposizione dei mandanti dell'omicidio. "Attendo di leggere le motivazioni" è il commento dell'avvocato Fabio Rapici, legale di alcuni dei familiari della vittima.
Roma, 12 mar (Adnkronos) - La Difesa europea non salva il Pd. Anzi, lo spacca. A Strasburgo, al momento del voto sul piano ReArmEu, gli europarlamentari dem si sono divisi: 10 favorevoli e 11 astenuti. Non un banale testa a testa, che già sarebbe una notizia, ma una spaccatura politica. La prima, almeno così evidente, nella gestione di Elly Schlein. I riformisti dem, infatti, si sono tutti schierati per il sì. Mentre sino all'ultimo istante il capo delegazione Nicola Zingaretti ha lavorato per portare il gruppo sull'astensione in modo da disinnescare ogni tentazione a votare no. Ma la frattura non si è ricomposta.
Dopo il voto, la segretaria dem ha tenuto il punto, confermando le "molte critiche" avanzate su ReArmEu: "Quel piano va cambiato" e per farlo "continueremo a impegnarci ogni giorno", ha detto tra le altre cose. Ma l'onda del voto sulla Difesa Ue è arrivata fino al Nazareno, aprendo una discussione interna al partito in cui è riemersa anche la parola 'magica' Congresso. La foto di Strasburgo, del resto, è netta. Per il sì si sono schierati Stefano Bonaccini (il presidente del partito), Antonio Decaro, Giorgio Gori, Elisabetta Gualmini, Giuseppe Lupo, Pierfrancesco Maran, Alessandra Moretti, Pina Picierno, Irene Tinagli, Raffaele Topo.
Tra gli astenuti Zingaretti, Lucia Annunziata, Brando Benifei, Annalisa Corrado, Camilla Laureti, Dario Nardella, Matteo Ricci, Sandro Ruotolo, Cecilia Strada, Marco Tarquinio, Alessandro Zan. Dalle tabelle dell'aula emerge tra l'altro che nel gruppo S&D gli unici ad astenersi sono stati gli italiani più un bulgaro, un irlandese e uno sloveno. Per non farsi mancare nulla, c'è stato anche il 'giallo' Annunziata, inizialmente conteggiata tra i sì e poi conteggiata come astenuta.
(Adnkronos) - Mentre a Strasburgo i più maliziosi hanno enfatizzato non solo la presenza di Nardella tra gli astenuti, ma soprattutto quella di Strada e Tarquinio: apertamente contrari al Piano Ue, alla vigilia erano dati certi tra i no. "C'è stato l'aiutino per non far vincere il sì", ha valutato un eurodeputato dem. Lo stesso Tarquinio, del resto, a Un giorno da pecora ha ammesso: "Se avessi votato no sarebbe mancato quel po' di più che ha consentito alla delegazione Pd di avere la maggioranza pro Elly Schlein".
"E' stata sconfitta la linea dell'astensione? E' stato sconfitto il no, perché si partiva dal no", è stata la valutazione di Lia Quartapelle. La deputata dem è stata tra quelli che hanno subito chiesto l'apertura di un confronto interno. "Dobbiamo dimostrarci all'altezza. Il Pd, un grande partito, deve argomentare dove vuole stare con una discussione che sino ad oggi non c'è stata", ha spiegato. Sulla stessa linea Piero Fassino e anche Marianna Madia: "Abbiamo la necessità di discutere e capire. Non possiamo fare tutto questo stando zitti o con un mezzo voto. Congresso o Direzione? Va bene tutto, basta che ci sia una discussione", ha detto la deputata.
Ai riformisti ha risposto Laura Boldrini: "Mi sarei aspettata che il gruppo del Pd al Parlamento europeo votasse compatto sull'astensione, che è la strada trovata dalla segretaria Schlein. Non è il momento di alimentare divisioni". Ma anche nell'area di maggioranza interna non è mancata la chiamata al confronto: "E' giusto che ci sia una discussione seria. E' una responsabilità che abbiamo tutti ed è interesse della segretaria, che io sostengo, che questa discussione si faccia nelle forme e con la rapidità necessarie", ha detto Gianni Cuperlo. Mentre è stato Andrea Orlando a chiedere un Congresso tematico: "Potrebbe essere utile anche per portare la discussione fuori dal solo gruppo dirigente" e per "chiarirsi le idee".