Marco Lombardi, direttore del centro di ricerche della Cattolica specializzato nello studio del terrorismo, spiega che Daesh ha sostituito la strategia basata sulle decapitazioni con gli attacchi ai più piccoli. Che del resto considera come potenziali killer da indottrinare. Torna poi il "lupo solitario", ispirato però probabilmente dalla propaganda jihadista che di recente ha invitato a colpire "luoghi con poca luminosità e poche vie di fughe"
L’attacco alla Manchester Arena ha colpito i bambini e gli adolescenti. Quelli che nella cultura occidentale sono simboli di innocenza e di spensieratezza sono diventati il bersaglio dell’odio fomentato dalla propaganda dell’Isis. Il luogo dove colpire questi soft target è il concerto di un idolo dei teenager, Ariana Grande. Dopo le decapitazioni diffuse via social network, la guerra di Daesh – mediatica e non solo – cambia bersaglio. Lo spiega Marco Lombardi, direttore del centro di ricerche dell’Università Cattolica Itstime, specializzato nello studio del terrorismo: “Daesh ha sostituito la propaganda che muove l’affettività dell’Occidente, quella delle decapitazioni, con quella dei bambini. Sui social vediamo immagini dei bambini uccisi al concerto contrapposti ad altri che vengono ammazzati dai bombardamenti inglesi, usati come giustificazione dell’attacco compiuto ieri”.
Dal punto di vista di Daesh, i bambini sono – al pari degli adulti – parte del conflitto. La visione occidentale dell’infanzia, legata puramente all’anagrafe, è azzerata. Non c’è età dell’innocenza per lo Stato Islamico. E in effetti l’infanzia è “un dato sociale e culturale. Daesh l’ha capito molto bene”, spiega Marco Lombardi. “Daesh rilancia nei suoi video di propaganda immagini di bambini che sono spietati killer – aggiunge il professore -. Il tema dei bambini è dentro in pieno nella strategia del terrore”. Un esempio? Il 9 marzo SITE Group, centro di analisi dell’attività dei jihadisti diffusa sui social network, ha prodotto un video intitolato Come lo Stato Islamico ha indottrinato i suoi giovani. Il filmato ripercorre le esecuzioni compiute dai bambini dello Stato Islamico, le loro arringhe in piazza, la loro ricerca del martirio. L’episodio più emblematico e struggente riguarda Abu Amara Al-Omari, adolescente che si fa esplodere in un’autobomba. I video di propaganda dell’Isis raccontano la sua preparazione accanto al padre, il quale si assicura fino all’ultimo che l’attentato possa riuscire nel migliore dei modi per garantire il paradiso al proprio figlio. Tra i bambini-killer usati dallo Stato Islamico ci sono anche alcuni figli dell’Occidente, portati in Siria o Iraq dalle proprie madri che si sono unite ai foreign fighters. Come Abu Abdallah al-Britani, che si ritiene figlio di Sally Jones, cittadina inglese che si è trasferita nello Stato Islamico nel 2013 (allora il figlio aveva 10 anni). Oggi Sally Jones ha sposato Junaid Hussein, hacker e combattente dello Stato Islamico che si fa chiamare Abu Hussain al-Britani.
L’attacco terroristico di Manchester è stato con ogni probabilità condotto da un “lupo solitario”. Lombardi ricorda che il 4 maggio nella nona edizione di uno dei magazine di Daesh, Rumyia, un’intera parte – “Just Terror” – era dedicata a suggerimenti per gli attentatori solitari. Il magazine elencava come luoghi dove colpire “mercati, cinema, sale da concerto, centri commerciali e tutti i luoghi con poca luminosità e poche vie di fughe”. E quello di Manchester “sembra un attacco premeditato perché l’attentatore è entrato a fine concerto, quando tutto sembrava finito. Non mi stupirei che fosse un coetaneo dei ragazzi che ha ammazzato”, aggiunge Lombardi. Anche i giovani occidentali sono bersagli della propaganda jihadista, in fondo.
Manchester non è un luogo qualunque nella storia del jihadismo internazionale. è la città base del Libyan Islamic Fighting Group, un movimento legato ad Al Qaeda. Qui aveva trovato asilo politico, nel 1995, uno dei suoi leader, Abu Anas al-Libi, considerato uno delle menti degli attentati qaedisti alle ambasciate americane di Kenya e Tanzania nel 1998. E il 13 maggio Hamza Bin Laden, figlio 28enne di Osama Bin Laden, si è fatto sentire con un messaggio (in inglese e arabo) in cui inneggiava ancora una volta al “martirio”, all’attacco kamikaze. Titolo: Advice for Martyrodom in the West, cioè “Consigli per il martirio in Occidente”. E da qualche mese a questa parte gli attentati non erano più stati compiuti da attentatori suicida. “Possiamo già parlare di effetto Bin Laden?”, si domanda il professor Lombardi. Può essere che sia solo un caso, visto che Bin Laden non è stato totalmente silente. Resta da sottolineare che “dieci giorni dopo la diffusione del messaggio di Hamza si è commesso un attentato kamikaze in una città tradizionalmente più vicina ad Al Qaeda. Sarà interessante capire anche l’impatto sui rapporti tra Al Qaeda e Daesh”, aggiunge Lombardi. “Bin Laden certamente ha dietro il carisma di un nome – ragiona il professore – può essere che si stia pensando ad un superamento del jihadismo di Daesh e dell’Al Qaeda di al Zahawiri, che rischia una frammentazione”. Bin Laden, allora, potrebbe essere il leader della sintesi.
L’ultimo elemento rilevante dell’attacco alla Manchester Arena è la tempistica. L’8 giugno la Gran Bretagna va al voto e Daesh in questi ultimi anni ha sempre cercato di colpire durante le campagne elettorali. In più, il 25 maggio a Bruxelles ci sarà il vertice Nato e il 26 e 27 maggio a Taormina si riunirà il G7. “L’attacco impatta sia sulla politica interna della Gran Bretagna sia sull’agenda dei prossimi incontri – aggiunge Lombardi -. La sicurezza e la lotta al terrorismo diventeranno gli argomenti principali della discussione. Discussione in cui non tutti sono d’accordo. Sarà interessante capire come questo ingresso a gamba tesa del jihadismo internazionale influenzerà le diverse posizioni”.