Controllavano tutto: dalla cocaina al pizzo passando per le numerose bombe o danneggiamenti ai danni degli esercizi commerciali. “Le nuove leve della cosca – ha affermato durante la conferenza stampa il procuratore Gratteri - avevano una grande disponibilità di armi e ordigni, volevano creare paura e così imporre il loro dominio”
“Facciamo Falcone e Borsellino a Lamezia Terme”. Antonio Miceli, il reggente della cosca “Cerra-Torcasio-Gualtieri” di Lamezia Terme fa riferimento alle stragi di Capaci e via D’Amelio nel corso di un’intercettazione inserita nel provvedimento di fermo dell’inchiesta “Crisalide” che stamattina ha portato all’arresto di 52 persone accusate di associazione mafiosa, estorsioni, rapine, traffico di droga, possesso illegale di armi e danneggiamento.
L’operazione, condotta dai carabinieri e coordinata dalla Dda di Catanzaro, ha stroncato le “nuove leve” dei Torcasio che, a Lamezia Terme, da alcuni anni stavano creando un “clima di terrore”. Controllavano tutto: dalla cocaina al pizzo passando per le numerose bombe o danneggiamenti ai danni degli esercizi commerciali. “Le nuove leve della cosca – ha affermato durante la conferenza stampa il procuratore Gratteri – avevano una grande disponibilità di armi e ordigni, volevano creare paura e così imporre il loro dominio”.
Sempre la stessa intercettazione, del settembre del 2016, ha consentito ai carabinieri di ascoltare dalla viva voce del boss Antonio Miceli alcune conversazioni sulle armi: “Mi ha trovato il kalansnikov – è la frase del reggente della cosca – si devono andare a prendere? tra oggi e domani … mi fa sapere quanto vogliono. Tu bloccali tutti che facciamo Falcone e Borsellino a Lamezia. Quelli sono ‘toghi’ o Fra… sono una meraviglia… cacci, posi e te ne vai… tin… lo sai com’è togo” Il riferimento è a uno stock di bombe Miceli stava acquistando per portare avanti la sua strategia del terrore.
Proprio nel giorno della ricorrenza della stragi palermitane, per il procuratore Gratteri e i vertici dei carabinieri quella è un’intercettazione che “ci indigna” anche se non ci sono elementi per poter sostenere che l’obiettivo delle cosche lametine sia quello di colpire magistrati. “È raccapricciante, – ha affermato il generale Paticchio – ma proprio operazioni come quella di oggi dimostrano come il testimone lasciato da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino è stato raccolto”.
Non solo droga e armi. Con l’inchiesta “Crisalide”, la Dda di Catanzaro sta indagando anche sui presunti rapporti tra la ‘ndrangheta e alcuni politici locali. Non è un caso che siano state effettuate alcune perquisizioni collegate alle indagini che la Procura ha avviato sulle ultime elezioni comunali di Lamezia Terme avvenute nel 2015. “Siamo riusciti, tra l’altro – ha dichiarato il procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri – a monitorare l’incontro tra i vertici della cosca e un candidato che per paura di essere riconosciuto si presenta nel quartier generale del gruppo criminale tenendo sempre il cappuccio della felpa sulla testa”. Nel registro degli indagati, secondo quanto riporta l’Ansa, è finito il vicepresidente del Consiglio comunale di Lamezia Terme, Giuseppe Paladino, e l’ex consigliere Pasqualino Ruberto. I carabinieri, su delega della Dda, hanno effettuato perquisizioni nelle case e negli uffici dei due indagati eseguendo un decreto dell’autorità giudiziaria. Secondo l’ipotesi accusatoria, Paladino si sarebbe incontrato con Antonio Miceli, considerato il reggente della cosca, al quale avrebbe chiesto l’appoggio in occasione delle elezioni comunali svoltesi nel maggio del 2015 in cui Paladino era candidato con la lista che sosteneva la candidatura a sindaco di Pasqualino Ruberto.
Aggiornato dalla redazione web alle 21.01