Il presidente della Repubblica alle commemorazioni per i 25 anni dall'assassinio del giudice antimafia lungo l'autostrada di Palermo: "Hanno condiviso tutto, ma soprattutto il rifiuto della rassegnazione. E ora le loro idee camminano sulle gambe di una generazione di giovani". Grasso: "Giurai che il loro sacrificio non sarebbe mai stato vano". Il presidente della Corte del maxi-processo Giordano non invitato: "Sono dispiaciuto, avrei voluto partecipare alle manifestazioni"
Con l’assassinio di Falcone e Borsellino sembrava tutto finito: che il sacrificio di tante persone fosse inutile, che la mafia avesse rialzato la testa dopo la sconfitta del maxi-processo, una svolta nella guerra alla mafia. E invece no: “La paura e la sfiducia non hanno avuto la prevalenza. La società civile, a partire da quella siciliana, ha acquisito, da quei giorni, una consapevolezza e una capacità di reazione crescenti; e destinate a consolidarsi nel tempo”. E’ stato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a ricordare, così, nell’aula bunker a Palermo Giovanni Falcone, ucciso nell’attentato di Capaci 25 anni fa. “Venticinque anni sono tanti – ha sottolineato il capo dello Stato – Un’intera generazione di giovani e di ragazzi italiani è nata, e cresciuta, dopo quei crimini efferati. Il nostro Paese, il mondo, le condizioni di vita sono profondamente cambiati da quel 1992” . Da qui, secondo il presidente, “la memoria di persone come Falcone e Borsellino continua ad accompagnarci: il loro sacrificio viene, ovunque, ricordato con commozione; e il senso del loro impegno viene trasmesso e assunto in maniera condivisa, soprattutto da tanti giovani, giorno dopo giorno”. Falcone e Borsellino sono esempi, dice Mattarella rivolto ai ragazzi, e il loro impegno cammina sulle vostre gambe.
Falcone e Borsellino, prosegue Mattarella, condivisero “impegno, amicizia, professione, ideali, pericolo”, ma anche “amarezze, attacchi ingiusti, critiche immotivate, invidie e ostacoli“. Ma ancora condivisero, aggiunge il presidente della Repubblica, “il rifiuto della rassegnazione: non aspettavano, fatalisticamente, che arrivasse qualcuno dall’esterno, capace di liberare la Sicilia della presenza della mafia. Falcone, Borsellino e tanti altri a quella presenza hanno inferto colpi e sconfitte fondamentali. Con risultati di grande efficacia”. Tra questi, spiega, il maxi-processo: “In quell’occasione l’Italia fu capace di far sistema contro la mafia: giudici e forze dell’ordine, anzitutto, e, nelle loro responsabilità, Parlamento, ministeri dell’Interno ed della giustizia, giornalisti e opinione pubblica ne furono partecipi. Lo stesso impegno, di autentica coralità nazionale, visto nel maxi-processo di Palermo, è richiesto anche oggi per fronteggiare le insidie persistenti di una criminalità mafiosa che, seppure colpita, mantiene una grande capacità di trasformarsi e di mimetizzarsi”.
Il presidente del Senato Piero Grasso ha scritto un’ideale lettera destinata a Falcone: “Caro Giovanni, 25 anni sono tantissimi ma tu sei sempre qui”. “Come vedi – ha aggiunto Grasso – sei in molte cose che grazie al tuo esempio hanno generato frutti di speranza ma, non per questo, ci manchi di meno”.
“Quando ero davanti alle bare dei miei amici ho giurato che il loro sacrificio non sarebbe stato vano mai” ha detto Grasso davanti agli studenti a bordo della Nave della legalità che collega Civitavecchia a Palermo. “Quando tu stai in trincea con accanto degli amici e colleghi e li vedi scomparire, non puoi pensare di abbandonare il fronte. Non mi è mai balenata l’idea di poter smettere, ma ho voluto continuare quello per cui hanno perso la vita e in cui credevano. Il grande valore” che spinge verso questa direzione “è il senso dello Stato. Questo è quello che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino mi hanno dato come colleghi prima e amici poi”.
Il 23 maggio, ha detto il ministro dell’Interno Angelino Alfano durante un seminario a Gorizia, “è la data fondativa del riscatto della Sicilia, non solo nella lotta alla mafia. Con l’attentato di Capaci ci è stata tolta una perla, Giovanni Falcone. I boss pensavano di vincere con le bombe ma da quel giorno è iniziata la loro fine: oggi la mafia è in ginocchio, i boss sono in carcere e i loro beni sono sequestrati“. La presidente della commissione Antimafia Rosy Bindi ha ricordato l’agguato di mafia avvenuto ieri nel quartiere Zisa, a Palermo, dov’è stato ucciso il boss Giuseppe Dainotti da tempo “condannato a morte” dal clan Porta Nuova, che controlla i quartieri centrali del capoluogo della Sicilia. “La scelta della vigilia dell’anniversario della strage di Capaci per l’eliminazione di un boss – sottolinea la Bindi – se non è voluta, è comunque una profanazione della memoria“. L’ex ministro aggiunge che “la mafia non è più quella di 25 anni fa, che è stata sconfitta, ma esiste ancora e va combattuta. Dobbiamo ‘precederla’ come ci ha insegnato Falcone”. Un compito che spetta soprattutto alla politica: “I voti della mafia puzzano – prosegue la Bindi – Un partito politico non può presentare determinate persone né accettare il voto di scambio, perché questo peserà per cinque anni su tutta la popolazione ed è esattamente quello che la mafia vuole”.
Un fronte di polemica invece si è aperto per le dichiarazioni del presidente della Corte d’Assise che celebrò il maxi-processo: “Sono assai dispiaciuto – dice Alfonso Giordano – di non aver potuto partecipare, nella mia città, alle corali manifestazioni per la ricorrenza dell’anniversario della morte di Giovanni Falcone, collega che ho sempre stimato ed apprezzato. E ciò unicamente per non essere stato invitato da parte di chi rappresenta la Fondazione Falcone”.