Gli amministratori degli scali insistono perché sanno che i commissari ora possono pagare grazie alla prima tranche del prestito ponte ottenuto dallo Stato. E minacciano di applicare la legge sulle "ganasce" che consente a ogni singolo scalo di non far ripartire il jet di una compagnia che si è sottratto al pagamento delle tasse aeroportuali. A rischio Lampedusa e Pantelleria
La storia si ripete: come ai tempi del primo fallimento nel 2008, anche questa volta il morto che cammina Alitalia rischia di trascinare nella fossa gli aeroporti italiani. Allora i gestori dei maggiori scali nazionali ci misero anni per riemergere dalle difficoltà economiche e finanziarie in cui erano stati precipitati dall’insolvenza dell’azienda di Fiumicino. Questa volta vorrebbero evitare il bis, ma si trovano di fronte un copione simile. E’ dal 2 maggio, giorno di avvio dell’amministrazione straordinaria, che Alitalia non paga i diritti aeroportuali, cioè le tasse sui movimenti di atterraggio e decollo che in base alla legge ogni aereo è tenuto a versare al gestore dello scalo. E a questo punto gli amministratori degli scali nazionali sono molto preoccupati e non escludono di far ricorso all’applicazione letterale della legge avvalendosi dell’articolo numero 802 secondo comma del codice di navigazione. Norma conosciuta anche come le “ganasce agli aerei” che consente a ogni singolo scalo di non far ripartire il jet di una compagnia che si è sottratto al pagamento delle tasse aeroportuali.
Di solito, quando tutto procede in tranquillità e non ci sono pericoli di bancarotta all’orizzonte, il pagamento dei diritti avviene per comodità a scadenze concordate. In genere ogni 15 o 30 giorni secondo le situazioni. Nel caso di Alitalia e degli aeroporti nazionali, per consuetudine il pagamento veniva effettuato alla fine di ogni mese. E anche oggi i commissari della compagnia fanno sapere a ilfattoquotidiano.it che hanno intenzione di pagare, ma rispettando le scadenze solite. Dal 2 maggio, però, la situazione non è più quella di prima, è completamente cambiata, lo stato di difficoltà della compagnia di bandiera è conclamato e i gestori degli scali nazionali non si sentono rassicurati dalla promesse dei commissari ritenendo al contrario di poter restare con il cerino in mano. Temono, cioè, di non essere pagati né ora né mai non avendo Alitalia una condizione e un patrimonio tali da poter onorare con certezza i debiti futuri.
E così alcuni hanno chiesto per le vie brevi ad Alitalia di intensificare i pagamenti, altri si sono rivolti alla compagnia di bandiera con una lettera in cui sostanzialmente dicono: quel che è successo prima del 2 maggio va in cavalleria, cioè i debiti accumulati dalla compagnia nei nostri confronti seguono la prassi normale prevista dall’amministrazione straordinaria. Ma dopo quella data il ritmo dei pagamenti non può rimanere lo stesso: ogni aereo che arriva e parte deve pagare così come previsto dalla legge, se paga acquisisce il diritto di utilizzare la pista, se non paga lo perde. Al massimo può essere tollerato un comporto di qualche giorno, ma dopo questo periodo scattano le ganasce.
Gli amministratori degli aeroporti insistono perché sanno che i commissari di Alitalia in questo momento si trovano nella condizione (probabilmente breve) di poter pagare avendo ottenuto da poco dallo Stato 230 milioni di euro come prima tranche del prestito ponte. La legge prevede una scala di priorità per l’utilizzo di quei quattrini. In prima battuta essi devono essere utilizzati per gli stipendi dei dipendenti, dai piloti agli assistenti di volo fino agli impiegati dei check-in e degli uffici. Subito dopo devono essere utilizzati per il pagamento dei diritti aeroportuali che vengono addirittura prima dell’acquisto del carburante. La logica alla base di questa impostazione è semplice: l’obiettivo primario per gli amministratori straordinari di una compagnia aerea è permettere che essa possa continuare a volare e quindi possa portare ricavi in cassa. Ma per far ciò le condizioni ritenute indispensabili sono prima di tutto che il personale sia messo nella condizione di lavorare e poi che gli aerei possano muoversi in sicurezza. Il versamento delle tasse aeroportuali è collegato in particolare proprio a questa seconda necessità.
Il mancato pagamento dei diritti rischia di produrre effetti negativi a cascata anche agli altri soggetti collegati agli aeroporti. Il 40 per cento delle tasse pagate dagli aerei non va infatti nelle casse degli scali, ma in forme diverse in quelle dei comuni sedi dell’aeroporto e in parte anche in quelle della filiera che gravita intorno ai voli, a partire dai vigili del fuoco. In questo momento le difficoltà maggiori le stanno subendo gli aeroporti più piccoli, quelli che dipendono totalmente dai collegamenti Alitalia, tipo Lampedusa e Pantelleria, per i quali la compagnia di bandiera riceve tra l’altro una sovvenzione milionaria dallo Stato. I mancati pagamenti da parte della compagnia italiana stanno mettendo letteralmente in ginocchio i due minuscoli scali siciliani.