L'attentato nella città inglese dimostra che la tradizionale divisione tra qaedisti e sostenitori del Califfato ha relativa importanza per i singoli militanti. Già all'epoca degli attentati di Charlie Hebdo – spiega Lorenzo Vidino – era emerso che almeno uno dei fratelli Kouachi era stato in Yemen, mentre un altro membro del commando, Amedy Coulibaly, aveva dichiarato la sua fedeltà ad al Baghdadi. La dinamica – continua – va contestualizzata: in certi momenti, in Libia, le due formazioni hanno collaborato. In altri, come nella battaglia per Sirte, si sono combattute"
Nel jihad globale, Isis e al Qaeda sono due facce della stessa medaglia. Per quanto le due organizzazioni terroristiche più pericolose al mondo abbiano sigle che si federano all’una o all’altra, agende politiche differenti (una vuole ricostruire un Califfato, l’altra vuole diffondere la guerra santa) e in alcuni casi si siano combattute – soprattutto in Siria – il nocciolo della loro ideologia è lo stesso: jihad ovunque. Ed è questo l’elemento che fa presa sugli aspiranti terroristi d’Europa. Quello che sta emergendo della storia di Salman Abedi, il 22enne attentatore della Manchester Arena, “è l’ennesima conferma che a livello basso, a chi si vuole radicalizzare poco importa che il gancio operativo sia di al-Qaeda o di Isis” sostiene Lorenzo Vidino, direttore del Programma sull’estremismo alla George Washington University. Il padre di Salman, Ramadan Abedi, sarebbe stato indicato dai servizi segreti libici sotto Gheddafi come “elemento dell’organizzazione al-Qaeda”, ha rivelato Sky News Arabiya, ma il suo attentato è stato rivendicato da Isis. La famiglia Abdani ha trovato asilo in Gran Bretagna proprio perché in fuga dall’ex Rais e a seguito della sua caduta è rientrata in Libia. “Sembra che Salman Abedi abbia assunto l’ideologia del jihad dall’ambiente familiare. Sembra che abbia continuato la tradizione del padre, dieci anni dopo. Poi forse per ragioni di opportunità ha scelto un’altra sigla”, continua Vidino.
Però dal quadro che emerge dai media inglesi, la comunità libica di Manchester considerava Ramadan Abedi una persona influente, un musulmano rigoroso, ma non un jihadista. Il New York Times sostiene addirittura che la famiglia avrebbe cercato di togliere a Salman il passaporto, proprio perché preoccupati per la sua deriva. Aveva detto ai familiari che avrebbe fatto un viaggio alla Mecca e invece si è diretto alla sua città di nascita per commettere un attentato.
È un fatto però che il padre Ramadan, quando gli Abedi stavano in Inghilterra, frequentava spesso il Centro islamico di Manchester, noto come moschea di Didsbury. Lorenzo Vidino ricorda che circa una decina di anni fa l’organizzazione è finita in una indagine sull’origine dei finanziamenti. La moschea ha comunque smentito in un comunicato che l’attentatore abbia mai lavorato nella struttura. Proprio questo ambiente era frequentato da tanti oppositori a Gheddafi facenti parte del Libyan islamic fighting group, gruppo di miliziani che si è affiliato ad al Qaeda alla fine degli anni ’90. “I vecchi membri di questo gruppo si sono sparsi. Qualcuno è entrato in altre sigle, altri non frequentano più questo giro”, spiega Vidino. Abd al-Baset Azzouz, tra i frequentatori del centro, nel 2013 è partito per la Libia per gestire un gruppo di 200-300 jihadisti affiliato ad al Qaeda, scrive il Telegraph. Raphael Hostry, invece, classe 1992 o ’93, era considerato uno dei maggiori reclutatori dell’Isis. È ritenuto morto in un attacco nel 2016 in Siria.
Non è l’unico esempio di ambiente jihadista in cui emergono affiliati sia ad al Qaeda che allo Stato Islamico, ammesso che poi la rivendicazione post attentato sui canali social dello Stato Islamico possa avere un significato. “Già all’epoca degli attentati di Charlie Hebdo – prosegue Vidino – era emerso che almeno uno dei fratelli Kouachi era stato in Yemen, mentre un altro membro del commando, Amedy Coulibaly, aveva dichiarato la sua fedeltà ad al Baghdadi. All’epoca aveva stupito, ma ritengo che in realtà capiti abbastanza spesso”. “La dinamica tra Isis e al-Qaeda – continua l’esperto – va contestualizzata: in certi momenti, in Libia, le due formazioni hanno collaborato. In altri, come nella battaglia per Sirte, si sono combattute”. L’Iraq è un altro esempio di questo assetto variabile: come riporta Agi il 20 aprile, il vice presidente iracheno Ayad Allawi ad aprile ha annunciato con preoccupazione nuovi contatti tra portavoce di al Baghdadi e membri dell’organizzazione fondata da Osama Bin Laden. Se è cambiata a livello di organizzazioni, a maggior ragione non importa ai singoli jihadisti.
Al-Qaeda non è mai scomparsa dalla lista degli obiettivi militari dell’Occidente. “In Yemen e in Siria, gli americani hanno bombardato entrambe le organizzazioni, forse persino di più i qaedisti”, aggiunge Vidino. Il 25 aprile Katibat al-Imam Shamal, una sigla che si professa affiliata ad al-Qaeda, ha rivendicato l’attentato del 3 aprile a San Pietroburgo, a testimonianza dell’attività del gruppo. Al-Qaeda non è mai morta, come qualcuno sperava. Né tantomeno sarà un nemico di Isis.