L’unica soluzione pare sempre e solo quella di attaccarsi alla mammella salvifica dello Stato. Poco importa se le due banche sono sostanzialmente fallite, ancora meno se le loro prospettive di rilancio sono pressoché nulle. E non serve nemmeno far notare che i 3,5 miliardi iniettati meno di un anno fa dal fondo Atlante sono già stati bruciati
“Il governo non accetti ricatti dall’Europa”. Serve “un colpo di reni”. Di più, “un pugno sul tavolo”. Anzi, bisogna proprio fregarsene di quel che dice Bruxelles perché “a mali estremi, è meglio passare i prossimi cinque anni a confrontarsi su una eventuale procedura di infrazione tutta da discutere, con le banche messe intanto in sicurezza, piuttosto che tergiversare all’infinito”. Queste sono solo alcune delle dichiarazioni che si sono registrate a proposito delle difficoltà che sta incontrando il nuovo tentativo di salvataggio di Popolare di Vicenza e Veneto Banca.
Fa effetto che a pronunciare queste parole non siano i soliti noti, bensì i sindacati, il presidente del Veneto Luca Zaia, e l’ex viceministro dell’Economia Enrico Zanetti. Cioè figure che per ruolo e responsabilità anche di carattere istituzionale dovrebbero avere ben chiaro il quadro e, anziché tentare di gettare sull’Europa le responsabilità del disastro, dovrebbero preoccuparsi piuttosto del come gestire la ricaduta sulle famiglie e sul territorio di questa crisi che si trascina da oltre due anni. Ma, a parte abbaiare a Bruxelles, nel concreto nessuno ha fatto nulla né per tutelare i risparmiatori truffati, né per salvaguardare le pmi e le famiglie indebitate che rischiano di trovarsi da un momento all’altro con richieste di rientro immediato, né per immaginare cosa sarà dei tanti lavoratori il cui posto è a serio rischio.
L’unica soluzione pare sempre e solo quella di attaccarsi alla mammella salvifica dello Stato. Poco importa se le due banche sono sostanzialmente fallite, ancora meno se le loro prospettive di rilancio sono pressoché nulle. E non serve nemmeno far notare che i 3,5 miliardi iniettati meno di un anno fa dal fondo Atlante sono già stati bruciati. Tutti uniti a chiedere il salvataggio con miliardi pubblici. E se c’è una regola che lo impedisce, tanto peggio per la regola. Discorsi da bar, insomma, in bocca a chi qualche responsabilità dovrebbe pur avercela. Così ad esempio il presidente Zaia che negli anni passati ha assiduamente frequentato i Consoli e gli Zonin senza mai accorgersi di nulla. O quei sindacati che mai si sono peritati di denunciare le modalità con le quali si faceva “banca” e si collocavano allo sportello azioni e obbligazioni a Vicenza e Montebelluna e che oggi vaneggiano di una “modalità di cessione degli npl diversa da quella penalizzante per il bilancio delle banche e per il territorio che dall’Europa si vuole imporre”.
Quale sarebbe questa modalità? Chi e a che prezzo dovrebbe acquistare le sofferenze? Questo i sindacati purtroppo non lo dicono… E mentre cresce il timore di un bail-in, il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan è intervenuto con tutta la sua autorevolezza per escluderlo sottolineando che con Bruxelles “stiamo continuando a lavorare per una soluzione che metta in sicurezza le banche, che salvaguardi il risparmio e allo stesso tempo c’è una garanzia dal punto di vista della liquidità. Non c’è nessun problema di liquidità. Tutto ciò richiede un monitoraggio continuo sulla situazione e noi contiamo di arrivare a una soluzione consolidata in tempi brevi”.
La freddezza con cui sono state accolte le dichiarazioni di Padoan, però, la dice lunga sul clima che circonda la trattativa con l’Europa: l’amministratore delegato della Popolare di Vicenza, Fabrizio Viola, – anche lui presente all’incontro a Bruxelles – si è limitato a “prendere atto delle dichiarazioni del ministro”, mentre in ambito governativo il ministro dei Trasporti Graziano Del Rio ritiene che siano state date “risposte adeguate e rassicuranti. Fidiamoci di Padoan”. Il fatto è che non si capisce sulla base di quale presupposto il bail-in sia da escludere dal momento che, come il Tesoro sa benissimo, i soldi pubblici non possono essere impiegati a copertura di perdite pregresse o prevedibili quali quelle che si determinerebbero con la cessione del portafoglio di crediti in sofferenza che sono iscritti a bilancio dalle due banche a valori decisamente superiori a quelli effettivi di mercato. Come è stato accertato nelle scorse settimane, tali perdite ammonterebbero a oltre un miliardo e la Commissione chiede che a coprirle siano fondi privati, come previsto dalle regole Ue che Padoan ha assicurato di voler rispettare. Il problema è che nessun privato è disposto a mettere un centesimo in questo salvataggio, tanto più dopo aver visto andare in fumo le cospicue risorse iniettate da Atlante grazie alle quali già lo scorso anno le due banche venete sono riuscite ad evitare in extremis il bail-in.
Sul punto la Commissione è irremovibile e se il miliardo non salterà fuori lo show down sarà inevitabile, con tutto quello che ne consegue anche in termini delle garanzie prestate dallo Stato sulle obbligazioni emesse dalle due banche per procurarsi la liquidità necessaria (giusto giovedì 25 maggio Vicenza ha emesso obbligazioni per altri 2,2 miliardi e Montebelluna per 1,4 miliardi). Così, al solito, si prende tempo nella speranza che avvenga un miracolo e si accusa l’Europa per coprire le nostre nefandezze e la nostra incapacità.