Il capo della polizia decapitato, edifici governativi presi d’assalto, una cattedrale data alle fiamme, il prete e una dozzina di fedeli cattolici presi in ostaggio: le Filippine sono piombate nel caos per la guerriglia portata avanti da alcuni militanti affiliati all’Isis. E il presidente Rodrigo Duterte, eletto nel 2016, ha proclamato la legge marziale nel sud del Paese, promettendo di usare il pugno di ferro contro la crescita dell’estremismo islamico, considerata una minaccia alla sicurezza nazionale. “Sarò duro”, ha affermato il presidente, tracciando un collegamento tra la sua legge marziale e quella dell’ex dittatore Ferdinand Marcos e dicendosi pronto a tenerla in vigore per un anno, senza escludere di estenderla da Mindanao a tutto l’arcipelago a maggioranza cattolica se la minaccia islamica dovesse propagarsi.

La crisi è scoppiata martedì 23 maggio a Marawi, una città di 200mila abitanti nell’isola di Mindanao, dopo un blitz fallito dell’esercito per mettere le mani su Isnilon Hapilon, comandante del gruppo ribelle Abu Sayyaf e considerato tra i terroristi più pericolosi del Paese. I miliziani hanno chiamato i rinforzi del gruppo islamico Maute, che ha giurato fedeltà all’Isis. Decine di uomini armati hanno assaltato diversi edifici tra cui un carcere e una chiesa, a cui hanno appiccato il fuoco. Un sacerdote e almeno altre 13 persone tra fedeli e personale della chiesa sono state prese in ostaggio, con la minaccia di ucciderli se l’esercito non interromperà l’offensiva. Si contano almeno 21 morti, tra cui 12 militanti islamici, negli scontri con l’esercito, e migliaia di residenti hanno ormai abbandonato le proprie case mentre proseguono le operazioni militari per riprendere il controllo delle aree occupate dai combattenti, che continuano ad avere 13 persone sotto ostaggio.

L’esplosione di violenza ha sorpreso Duterte mentre si trovava in visita a Mosca per incontrare Putin. Il leader è tornato in patria mercoledì, dicendosi pronto a combattere gli estremisti e proclamando la legge marziale a Mindanao. Già nei mesi scorsi Duterte aveva lanciato un’offensiva contro alcuni piccoli gruppi islamici radicali che avevano giurato fedeltà all’Isis, con scontri nelle campagne che avevano causato decine di morti. La prospettiva della legge marziale era stata evocata più volte: “Vi avevo detto di non costringermi a farlo”, ha dichiarato mercoledì. “Se volete morire, morirete. E se molte persone dovessero morire, che sia così”.

“Non è escluso” che la legge marziale proclamata a Mindanao possa essere estesa a tutto il Paese se la minaccia dell’Isis si dovesse diffondere al resto dell’arcipelago. Ma il presidente ha aggiunto che non permetterà abusi del provvedimento. Per quanto l’opinione pubblica cattolica sia fermamente ostile al pericolo di infiltrazione dell’Isis, il provvedimento è storicamente associato agli abusi dei diritti umani perpetrati dal regime di Marcos. Il predecessore di Duterte, Benigno Aquino, non proclamò la legge marziale quando dovette fronteggiare una simile situazione a Zamboanga, nel cui assedio morirono 200 persone. Ma l’attuale presidente ha già dimostrato di essere pronto a tutto per far fronte alle minacce: nella sua crociata contro la droga e il crimine sono già morte 9mila persone.

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