“Uno tsunami neurologico”. Questo il termine adoperato dagli scienziati di tutto il mondo riuniti all’Accademia dei Lincei per sollecitare i leader della Terra, in occasione del G7 di Taormina, a intervenire contro la diffusione delle malattie neurodegenerative. Attuando, come avviene con il cancro e con l’Aids, “politiche risolute e globali”. In particolare, contro quella che definiscono “l’epidemia di Alzheimer “, che con “ oltre 40 milioni di malati, destinati a diventare 135 milioni nel 2050, e costi per l’assistenza destinati ad aumentare da 6 a 8 trilioni di dollari l’anno”, rischia di trasformarsi in “un peso devastante per le famiglie”.
Un allarme e un invito ad agire subito quello lanciato dalla più antica accademia scientifica del mondo, che ha annoverato tra i suoi membri anche Galileo Galilei. Un appello messo nero su bianco in un documento intitolato “La sfida delle malattie neurodegenerative in una popolazione che invecchia”. Diversi studi hanno, infatti, dimostrato che l’incidenza dell’Alzheimer raddoppia all’incirca ogni sei anni di vita in più. Una condizione che vede particolarmente esposta l’Italia che, fanno notare gli esperti, ha insieme a Corea e Giappone una delle popolazioni più vecchie del Pianeta. Nel nostro Paese, secondo il report, sono, infatti, “1,2 milioni le persone colpite da patologie neurodegenerative, di cui 800mila malate di Alzheimer”.
Ma gli scienziati non si limitano solo a descrivere un’emergenza. Provano anche a indicare una possibile strategia di contrasto. Basata su un protocollo clinico, non farmacologico, denominato “Train the brain (allena il cervello)” (http://www.fondazioneigea.it/). Realizzato a Pisa presso l’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) dal neurofisiologo Lamberto Maffei, scienziato che in passato ha fatto ricerca con Rita Levi Montalcini, e diffuso dalla Fondazione Igea Onlus in collaborazione con l’Università di Roma, il protocollo ha dato risultati positivi nell’80% dei casi. Aiutando i pazienti nella prevenzione e nel recupero.
L’idea è semplice: rallentare, e addirittura invertire, la progressione della malattia. Una vera e propria palestra per la mente che, come illustrato in uno studio pubblicato su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature, “migliora gli indicatori della salute del cervello, e rappresenta una possibile strategia per ridurre e ritardare la caduta nella demenza delle persone a rischio”. “Il progetto – spiega Maffei – non mira a guarire la malattia grave, che rimane al momento incurabile. Ma ad allontanarla, sottoponendo il cervello a continui stimoli esterni”. Molte ricerche dimostrano, ad esempio, che chi ha conseguito una laurea e ha, quindi, studiato più a lungo, si ammala in media cinque anni più tardi rispetto a chi non ha avuto un analogo percorso. I neurobiologi la chiamano riserva cognitiva. Gli scienziati sono convinti che l’attività fisica, una buona vita di relazione e l’umore siano fondamentali per mantenere in forma il cervello. Gli antichi romani, del resto, lo sapevano bene, parlando di “mens sana in corpore sano”.
L’Alzheimer colpisce nel mondo una persona ogni tre secondi, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Per contrastare questo trend, i ricercatori puntano sulla prevenzione e la diagnosi precoce, anche in assenza dei sintomi della malattia. “Chi è malato non lo sa, non se ne accorge. I sintomi compaiono, infatti, solo dopo 15 – 20 anni – concludono gli esperti dell’accademia dei Lincei -, quando la patologia ha devastato gran parte del patrimonio neuronale. E quando il cervello, che nel corso degli anni ha compensato i danni della patologia rendendola silente, non è più in grado di supplire alle perdite di neuroni”.