Solo nell’ultimo mese ha deciso sull’obbligatorietà dei vaccini in Friuli, sull’espianto degli ulivi in Puglia per il Tap, ma anche sul commissario per la bonifica dell’area di Bagnoli (Napoli), sulla multa inflitta da Agcom a Telecom per le tariffe e sulle presunte liste false presentate alle amministrative in Piemonte. Addirittura sulla detenzione di armi come avvenuto in Liguria qualche giorno fa o sulla schiscetta che i genitori fanno portare ai figli per evitare le mense scolastiche lo scorso inverno. Ma la decisione di ieri, con la quale sono stati revocati i direttori di 5 grandi musei nazionali a seguito di un ricorso, ha scatenato contro il Tar del Lazio una lunga serie di critiche. C’è chi usa l’ironia come il direttore della Galleria degli Uffizi Eike Schimdt, “io preoccupato per la sentenza? Ero molto più scioccato quando i centurioni hanno vinto con l’aiuto del Tar, e sono tornati al Colosseo …sembrava uno sketch di Crozza, invece era la realtà”, e c’è chi come l’ex premier Matteo Renzi ci va giù durissimo: “Non possiamo più essere una Repubblica fondata sul cavillo e sul ricorso. Non abbiamo sbagliato perché abbiamo provato a cambiare i musei: abbiamo sbagliato perché non abbiamo provato a cambiare i Tar”. E ancora, c’è chi come il direttore del Tg La 7, Enrico Mentana, gioca con una battuta: “È giunto il momento di dare al Tar del Lazio un presidente straniero”. E l’insofferenza verso il Tribunale amministrativo si è manifestata anche sui social dove tra un meme e tweet si leggeva anche: “Il libero arbitrio è un’umana illusione: alla fine decide tutto il Tar del Lazio”.
Ma è davvero necessaria una riforma? “Una seria riforma non si fa sull’emergenza, ma prendendosi il tempo necessario, mettendo sul tavolo cosa non funziona e discutendone a fondo tra magistrati, politici e studiosi. Anche se è vero che un giudizio amministrativo non può durare in media 8 anni”. Daniele Donati, professore associato di Diritto amministrativo dell’università di Bologna, ragiona con il Fattoquotidiano.it anche del commento fatto dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che alle agenzie di stampa dice: “Si era detto ‘mettiamo le mani sulla giustizia amministrativa’, non ce le abbiamo messe: i Tar andrebbero cambiati, senza demonizzarli ma sicuramente andrebbero cambiati precisando meglio qual è l’ambito di competenza della politica e qual è invece l’ambito di competenza di un tribunale amministrativo, che spesso entra invece nel merito di scelte che dovrebbero essere proprie della politica“. “È giusto – dice il docente – si devono comprendere e distinguere le rispettive sfere di competenza. E la giustizia amministrativa non può intervenire in ciò che è prerogativa propria del potere politico o esecutivo. Il Tar è il primo grado della giustizia amministrativa e vaglia se l’esercizio del potere amministrativo, unilaterale e autoritativo, si è svolto rispettando la legge ma, di regola, non entrando nel merito delle decisioni. Per esempio si può censurare il mancato rispetto della legge nella realizzazione di un’opera pubblica, ma non si può discutere la scelta di realizzare quell’opera piuttosto che un’altra”.
E l’eterogeneità delle decisioni, dai dettagli delle leggi alle grandi opere? “Il Tar interviene su tante materie perché tante sono le materie di cui si occupa l’amministrazione – replica Donati -. In realtà, oltre al limite del merito, sempre più ci si interroga su cosa debba rimanere in mano ai giudici amministrativi e cosa sia possa passare al giudice civile, ma questa è questione delicata. Il processo amministrativo è stato riformato con una prima piena “codificazione” nel 2010, e poi rivisto nel 2015 e nel 2016: si è preso atto di molti anni di evoluzione del diritto sostanziale e delle esigenze processuali, il che non è comunque poca cosa. Ma del resto il diritto amministrativo è diritto che – aggiunge il professore – nasce dalla dottrina e dalla giurisprudenza e non ha, in gran parte, una netta definizione dei suoi istituti fondamentali”.
Donati non può commentare la decisione del Lazio perché le motivazioni non sono ancora a disposizione e quindi non può dire se è stato travalicato quel confine: “Lo ripeto, entrare nel merito è inibito al Tar tranne nei casi previsti dalle legge. Certo che può capitare che un giudice travalichi il confine. Ma questa non è l’unica ragione per cui si dovrebbe intervenire per svecchiare e accelerare la giustizia amministrativa. E, da parte loro, sia il Tar che la Corte dei conti a volte si attestano su interpretazioni di retroguardia, con controlli sul particolare e non focalizzati a garantire legittimità ed efficienza all’azione amministrativa”.
Nella polemica si inserisce anche Vittorio Sgarbi: “La sentenza è impeccabile dal punto di vista normativo. Il problema non è abolire il Tar, come pure, incredibilmente, ha dichiarato qualche esponente del Governo, ma il criterio di selezione dei direttori. Se io, tramite bando – osserva Sgarbi – cerco un segretario generale per il Comune di Roma, non estendo la ricerca ai candidati di Amsterdam. Il Tar ha solo ribadito che, secondo quanto stabilito dal bando, il reclutamento di dirigenti della Pubblica Amministrazione (perché tali i direttori sono considerati) doveva essere riservato solo a candidati italiani, così come previsto dal decreto legge 165 del 2001. Il ministro, pertanto, invece di additare all’opinione pubblica il Tar come presunto colpevole del caos che si verrà a creare, dovrebbe far valere il proprio ruolo, cambiare i criteri e avere il coraggio di effettuare nomine per chiara fama”.