La spallata decisiva alla sindaca di Brindisi, Angela Carluccio, eletta appena undici mesi fa, l’ha data colui che si era presentato come uno dei suoi più fedeli scudieri. Un perfetto sconosciuto nello scenario politico regionale e provinciale, Umberto Ribezzi, che ben riassume però l’arte di fare pesare i propri voti. Già presente nel precedente consiglio, ha cambiato due volte gruppo e si è dichiarato tre volte indipendente in meno di un anno, nonostante avesse ottenuto la nomina di un suo uomo alla guida di una società partecipata. Eppure non è bastato. Alla fine è stato lui a staccare la spina, accodandosi ai 16 consiglieri di minoranza che avevano già provato a disarcionare la prima donna sindaco del capoluogo pugliese nello scorso gennaio. Non riuscendoci perché il primo eletto del Pd era saltato sul carro della maggioranza, salvando la giunta traballante da mesi.

La crisi di una città, tra arresti e rifiuti
Se qualcuno volesse comprendere a fondo cosa sia la politica fatta affidandosi ai piccoli ‘ras’ locali, dovrebbe ripercorrere gli ultimi decenni, e ancor più gli ultimi mesi, di questa città di 87mila abitanti alle porte del Salento. Tre sindaci spediti a casa dalla magistratura negli ultimi 33 anni e un consiglio comunale composto in buona parte dalle stesse facce dal 1997 ad oggi. Fino al cortocircuito raggiunto nel giugno dello scorso anno, quando Brindisi è tornata al voto dopo l’arresto, nel febbraio 2016, dell’ex sindaco Mimmo Consales, eletto con il Pd e poi autosospesosi dal partito prima di finire ai domiciliari con l’accusa di corruzione in una vicenda legata ai rifiuti. I suoi quattro anni di amministrazione erano stati spesso criticati, ma quattro mesi dopo la fine di quell’esperienza, in consiglio sono tornati otto volti della sua maggioranza. Sette ancora al governo e uno all’opposizione, mentre i partiti si squagliavano nelle urne. Forza Italia ferma al 4 per cento, il Pd commissariato non oltre il 10,9. E senza che neanche il Movimento Cinque Stelle riuscisse a raccogliere il malcontento, rimanendo fuori dal ballottaggio.

La prima crisi subito dopo l’elezione
Dove a trionfare erano stati molti volti noti del consiglio comunale al grido di “Brindisi ai brindisini”, slogan contrapposto al Pd seguito molto da vicino dal ‘Baricentrico’ presidente della Regione Michele Emiliano. Sindaco, lei, Angela Carluccio, per la prima volta una donna. Aveva messo insieme una serie di liste civiche, oltre agli uomini di Direzione Italia di Raffaele Fitto e il movimento espressione di Massimo Ferrarese, attuale presidente dell’Invimit ed ex presidente della Provincia di Brindisi. Un agglomerato di interessi ed idee risultato ingestibile che ha perso pezzi per strada, mese dopo mese. Se n’è accorta anche il sindaco che nel comunicato di addio parla di “percorso complesso e viziato da insidie e trabocchetti”. Tutto era iniziato subito dopo la vittoria. Neanche il tempo di nominare la giunta e una lista civica, Impegno sociale, riferimento di un recordman di preferenze come l’ottantenne Carmelo Palazzo, era già dall’altra parte della barricata costringendo il sindaco a governare con una maggioranza risicata.

Un anno di (non) governo
Da quel momento è partito un valzer di rimpasti di giunta – quattro alla fine – e dimissioni di assessori che sembrava destinato a concludersi già a gennaio. Perché i consiglieri si spartivano i posti tra gli scrutatori per il referendum del 4 dicembre, il prefetto Annunziato Vardè intimava di aumentare le donne in giunta, il numero delle delibere concrete scarseggiava (6 su 162 deliberazioni) e l’assessore al Bilancio veniva contestato per aver paventato un nuovo aumento della Tari, nella città che nel 2016 aveva pagato la cifra pro capite più alta d’Italia per la spazzatura, la sindaca si era ritrovata senza maggioranza dopo il passo indietro di altri due suoi alleati. Ancora per questioni legate a deleghe e assessori con voce in capitolo sulla vicenda dei rifiuti.

La situazione rifiuti precipitata (e il bilancio non approvato)
Mentre la città, proprio in mezzo ai rifiuti, di mese in mese, si è ritrovata ad affondarci, complice un passaggio di consegne tra due ditte finito a carte bollate. A salvare la Carluccio, schiacciata dall’assenza di leadership e dal peso di una maggioranza eterogena, ci aveva pensato però il primo degli eletti del Pd, Damiano Flores, che le aveva teso la mano poche ore prima del voto di sfiducia in consiglio comunale. Una stampella provvidenziale dall’uomo che appena quindici giorni prima aveva detto: “Basta alle sconcezze della peggiore amministrazione comunale che Brindisi abbia mai avuto”. Ha prolungato l’agonia di appena tre mesi, un tempo che non è stato sufficiente per approvare il bilancio consuntivo del 2016 con tanto di nuova diffida del prefetto.

L’ultima protesta. E ora il commissario
Intanto diverse centinaia di cittadini, pochi giorni fa, avevano contestato la sindaca davanti al Comune, esasperati da una situazione rifiuti al limite dell’emergenza e da una città sporca che nelle prossime settimane rischia di non avere neanche le tipiche derattizzazione e disinfestazione estive. Mentre la microcriminalità sguazza nell’incertezza e mette a segno rapine a raffica, quindici nell’ultimo mese. In questo clima, Umberto Ribezzi ha deciso di percorrere la tratta al contrario rispetto a Flores, firmando le dimissioni assieme a tutta l’opposizione. Brindisi è di nuovo senza governo e ha davanti un anno di commissariamento. Tornerà alle elezioni nella primavera del 2018. “Abbiamo un anno per proporre delle valide alternative. C’è il tempo per lavorare con calma”, è stato il commento di diversi dei consiglieri dimissionari. In molti scommettono però che i protagonisti degli ultimi anni saranno di nuovo lì, forti dei loro voti. Di certo, troveranno ad attenderli i problemi che hanno lasciato.

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