La presidente della commissione ha annunciato che non si occuperanno degli impresentabili in corsa alle prossime elezioni nazionali: "Le mafie sono cambiate", ha dichiarato, "sono molto più interessate alla politica locale"
La commissione parlamentare Antimafia non esaminerà le liste elettorali alle prossime elezioni nazionali. Quindi, a prescindere da quando si andrà a votare veramente (autunno 2017 o inverno 2018), non sarà data la lista degli impresentabili. L’annuncio è della presidente Rosy Bindi in occasione di una conferenza stampa sul crimine organizzato nella Capitale e nel Basso Lazio. “Le mafie sono cambiate“, ha dichiarato, “sono molto più interessate alla politica locale. Ci auguriamo che i partiti abbiano imparato la lezione. Le mafie non sono interessate alle grandi strategie di potere: un assessore di Regione o Comune è molto più interessante di un parlamentare per loro. I partiti dedichino le loro energie a alla formazione di una classe dirigente locale. Una necessità evidenziata da Mafia Capitale“.
L’Antimafia aveva analizzato le liste per le ultime amministrative 2016 (erano stati individuati 14 impresentabili), ma soprattutto si era occupata dei nominativi per le Regionali del 2015 quando l’operazione aveva fatto tanto discutere fino a far mettere in dubbio ad alcuni l’opportunità dell’intervento. Tra gli impresentabili era finito infatti anche l’attuale governatore Pd della Campania Vincenzo De Luca, ai tempi imputato nel processo legato alla vicenda Sea Park e poi assolto. L’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva accusato Rosy Bindi di usare la commissione Antimafia per regolare i conti all’interno del partito. De Luca ha sempre definito quell’episodio un “atto di delinquenza politica” mirato per danneggiare il partito. Ancora a novembre 2016, intervistato da Matrix, aveva detto che Rosy Bindi “è un infame, da uccidere”. Una frase per cui era stato condannato da tutti, avversari politici o meno, fino ad essere scaricato (almeno in quell’occasione) dallo stesso Renzi. Al di là delle polemiche politiche, la decisione della Bindi non fu “personale”, ma in linea con quanto previsto dal codice etico approvato dall’organo parlamentare nel 2014 (pure con i voti dem).