E’ finita l’occupazione della città filippina di Marawi ad opera dei movimenti armati Maute e Abu Sayyaf, affiliati all’Isis. Oggi l’esercito delle Filippine ha ripreso “il totale controllo” della città occupata dai militanti dello Stato islamico. Ad annunciarlo ai media locali è stato il portavoce delle forze armate, il generale Restituto Padilla, chiarendo che la situazione non è ancora “completamente normalizzata”. Secondo la Bbc “sono in corso ancora scontri a fuoco” in varie aree di una delle più antiche città musulmane del Paese, con “centinaia di civili intrappolati”: circa cinquanta riferisce il generale Padilla, molti di più per alcuni testimoni, che hanno inoltre aggiunto che i miliziani sono riusciti a far evadere da una prigione oltre un centinaio di detenuti. I cadaveri di diciannove civili – riporta l’emittente britannica – sono invece stati ritrovati infondo a un burrone, uccisi da un colpo di pistola alla testa.

La Bbc, inoltre, ha confermato quanto denunciato il 30 maggio in una nota da Aiuto alla chiesa che soffre (Acs), una associazione missionaria cattolica: diverse decine di cristiani sono stati presi in ostaggio dai miliziani. “Probabilmente la loro intenzione è quella di utilizzare i fedeli come merce di scambio, per convincere i militari a ritirarsi”. Lo ha spiegato ad Acs padre Sebastiano D’Ambra, missionario a Zamboanga, altra città dell’isola di Mindanao, già colpita nel 2013 dal movimento islamista paramilitare Moro islamic liberation front (Milf), che “distrusse metà della città”. L’associazione missionaria cattolica ha riferito che negli scontri dell’ultima settimana hanno perso la vita “circa cento persone”, mentre “fonti locali riferiscono di barbare uccisioni e decapitazioni da parte degli islamisti”. “Negli ultimi anni – prosegue padre D’Ambra – sempre più realtà islamiste internazionali sono penetrate nelle Filippine. A conquistare nuove leve è in parte l’ideologia, ma anche i lauti compensi offerti dai terroristi alle giovani reclute. Senza contare gli interessi internazionali che mirano a destabilizzare quest’area. Sembra vi sia un piano che continuerà in questa direzione. Tra non molto la situazione a Marawi si calmerà, ma il terrorismo non si arresterà”, la conclusione del missionario italiano.

I vertici militari avevano disposto il 28 maggio i primi attacchi aerei per respingere i terroristi, mentre centinaia di persone hanno agitato drappi bianchi dalle proprie abitazioni per segnalare la loro presenza all’aviazione. La Regione autonoma del Mindanao musulmano ha riferito che, a partire da sabato, 42.142 persone sono fuggite dalle loro case. Circa 30.600 persone si trovano nei centri di evacuazione predisposti dal governo, mentre altre 11.500 hanno trovato rifugio dai parenti fuori Marawi. Intanto i soldati proseguono le operazioni porta a porta per stanare i jihadisti.

Prete rapito lancia un appello al presidente Duterte – Il sacerdote, che fa parte del gruppo di ostaggi rapiti a Marawi dagli uomini fedeli al Califfato, ha esortato oggi il presidente filippino Rodrigo Duterte a terminare l’offensiva contro i gruppi jihadisti. A riferirlo è il sito di informazione locale Inquirer, menzionando un video in cui si vede il prete mentre parla. “Signor presidente, siamo nel mezzo di una guerra”, ha detto Teresito Suganob sullo sfondo di rovine causate dai combattimenti. “Le chiediamo di aiutarci. Dia ai suoi nemici quello che hanno chiesto: ritiri le sue truppe dalla provincia di Lanao del Sur e dalla città di Manawi, faccia finire i bombardamenti aerei e i cannoni. I suoi nemici sono pronti a morire per la loro religione”. Suganob ha aggiunto che insieme a lui ci sono altri 240 “prigionieri di guerra”, tra cui bambini, personale ecclesiastico e insegnanti, un’informazione che, però, fino ad ora non ha conferme indipendenti.

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