Tutti li vogliono. I Comuni che temono che gli venga a mancare un’entrata e debbano decidere aumenti della tariffa di igiene urbana dal 20 al 60 per cento, le imprese private che trattano immondizia perché significherebbe lavorare e guadagnare di più. Sui rifiuti delle industrie e dei centri commerciali è guerra aperta, con il ministero dell’Ambiente stretto tra l’incudine e il martello e per giunta in ritardo non più giustificabile: il conflitto tra Comuni e imprese si gioca infatti sul fatto che una norma doveva essere scritta dal governo venti anni fa ma è sempre stata rimandata. Fino all’aprile scorso quando una sentenza del Tar del Lazio ha fissato una nuova scadenza: “Basta perdere tempo, il ministero deve fare il suo dovere entro quattro mesi, dettando le regole per stabilire a chi spettano quei rifiuti”. E così, mentre di mesi ne è già passato uno, l’Anci ha iniziato a tremare: perché se fino ad oggi gli enti locali avevano praticamente mano libera nel decidere quali scarti commerciali e industriali gestire insieme agli urbani, facendo di conseguenza pagare la bolletta a tutte queste utenze non domestiche servite, ora le cose per i Comuni potrebbero cambiare. E, stando alle indiscrezioni, non in meglio.

Anci al ministero: “Meno rifiuti, bollette più salate”
Così, un po’ offesi anche per non essere stati fino ad oggi consultati, il presidente dell’Anci Antonio Decaro e il delegato ai Rifiuti dell’associazione dei Comuni Ivan Stomeo hanno preso carta e penna e scritto al ministero per metterlo in guardia: il provvedimento, si legge nella lettera inviata il 19 maggio, porterebbe una “diminuzione di gettito, che i nostri uffici stimano ad almeno il 20 per cento”. Un buco che i Comuni ripianerebbero con aumenti in bolletta non di poco conto. In pratica, se oggi le entrate della Tari valgono qualcosa come 9 miliardi di euro, i sindaci si ritroverebbero a doverne recuperare da qualche parte circa 1,8. Se già negli ultimi anni alcune stime avevano mostrato come i cittadini paghino il servizio rifiuti a peso d’oro (fino a aumenti del 57 per cento tra 2010 e 2015 secondo la Cgia di Mestre), ora, secondo Stomeo, “nei Comuni di maggiori dimensioni, gli incrementi andrebbero dal 20 al 30 per cento se i mancati introiti venissero ribaltati su tutte le utenze e dal 40 al 60 se invece venissero ribaltati sulle sole utenze domestiche”. Alla richiesta di incontro da parte dell’Anci, decisa a illustrare ai tecnici del ministero le proprie proposte, però, al momento Galletti non ha risposto.

Le aziende: “Rifiuti sottratti dai Comuni al libero mercato”
Il ministero, oltre che in ritardo ventennale, è anche stretto tra due fuochi, perché nel frattempo le associazioni attive nel settore del riciclo dei rifiuti (Fise Unire, Fise Assoambiente, Assorecuperi, Assorimap e Assosele) si sono unite in un unico tavolo per dare battaglia sui temi che ne limitano la competitività. Tra questi ,appunto, anche l’assimilazione dei rifiuti di industrie e centri commerciali a quelli urbani, che le imprese, al contrario dei Comuni, vorrebbero sempre più ridotta. Con benefici che, dicono le aziende, si rifletterebbero anche sulla tariffa rifiuti, con bollette più leggere: “Ingenti quantitativi di rifiuti di provenienza commerciale e industriale vengono sottratti al libero mercato per essere gestiti in regime di esclusiva da pubbliche amministrazioni e loro partecipate. Situazione, questa, che impedisce di fatto il corretto, trasparente ed effettivo contenimento dei costi della gestione dei rifiuti, che ricadono immancabilmente su imprese e cittadini”, lamentano le associazioni di categoria, sollecitando Galletti a fare presto. La stessa Antitrust nel 2016 ha bacchettato la pubblica amministrazione per “un ricorso eccessivo da parte dei Comuni all’istituto dell’assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani” con danni diretti alla libera concorrenza.

Partita ancora aperta
Che succederà? Contattato da ilfattoquotidiano.it, il ministero dell’Ambiente non dà spiegazioni. Al momento, secondo Anci, gli uffici di via Cristoforo Colombo sono orientati a escludere dal flusso dei rifiuti urbani tutti gli scarti prodotti da “attività commerciali e industriali che occupano più di 300 metri quadrati nei Comuni con meno di 10mila abitanti e più di 500 metri quadrati nei Comuni con più di 10 milaabitanti”. Attività che comunque continuerebbero, sottolineano da Anci, a pagare la parte fissa della tariffa rifiuti, quella che copre, per esempio, servizi come lo spazzamento stradale. Ma la partita è ancora aperta e l’esito dipenderà da quanto le due parti riusciranno a pesare sulle decisioni del ministero.

Rincari in bolletta unica soluzione?
Il delegato ai Rifiuti Stomeo ha detto chiaramente che gli 1,8 miliardi di euro che ballano sarebbero recuperabiliesclusivamente tramite aumento delle tariffe”. Ma se è vero che i bilanci comunali sono sempre più ridotti all’osso e gli spazi di manovra sono limitati, davvero i rincari sono l’unica soluzione possibile? Anci non ha messo lo stesso impegno per recuperare risorse anche in altri ambiti. L’associazione dei Comuni, per esempio, ha concluso poco tempo fa la “rivalutazione” annuale dei corrispettivi per la raccolta differenziata versati dal Conai, il Consorzio nazionale degli imballaggi agli enti locali con un nulla di fatto, prevedendo anzi una piccola diminuzione il prossimo anno. Mentre le trattative con lo stesso Conai per rivedere i corrispettivi alla metà dell’accordo che regola la raccolta differenziata nei Comuni dovevano iniziare a ottobre 2016, ma sono ancora in alto mare.

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