Non un rigo di autocritica nelle molte pagine delle sue “considerazioni finali”, non una parola fuori registro. Ignazio Visco, il cui mandato è in scadenza a ottobre, sente profumo di riconferma e gioca con estrema prudenza le sue carte per non scontentare i suoi azionisti di riferimento, cioè le banche, e le forze politiche che verosimilmente sosterranno un suo secondo “settennato” alla guida della Banca d’Italia, a partire dal Pd a trazione renziana. I suoi “alti” richiami alla necessità di una politica responsabile, capace di definire “programmi chiari, ambiziosi, saldamente fondati sulla realtà” per traghettare il Paese fuori dalla crisi, non possono che essere letti con favore dalla compagine governativa che in quelle parole si specchia e si riconosce.
E’ quella stessa politica che in questi anni non ha nemmeno provato a immaginare i reali effetti sulle persone e sull’economia delle crisi bancarie, lasciate colpevolmente incancrenire per anni fino ad arrivare alla risoluzione e poi alla svendita di Popolare Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara. Di più, è quella politica che – in pieno conflitto d’interessi – ha fatto e brigato dietro le quinte per salvare la “banca di papà”, ha “ispirato” la nascita del fondo Atlante che ha poi immolato miliardi di fondi pubblici e privati nel vano tentativo di salvare le due banche venete, Popolare Vicenza e Veneto Banca, e il Monte dei Paschi di Siena. E’ quella politica che in tutti questi anni è andata a braccetto con il governatore Visco, decidendo di volta in volta e in piena sintonia con la Banca d’Italia come muoversi e come gestire crisi che, puntualmente, si sono aggravate fino a rendere inevitabile la richiesta di aiuto pubblico.
Nelle sue “considerazioni finali” Visco si guarda bene dal fare un bilancio di questo periodo così drammatico che, peraltro, non è ancora terminato essendoci oggi due banche a rischio bail-in e una terza, il MontePaschi, di cui ancora non sappiamo a quali condizioni potrà essere salvata. Forte della presenza del presidente della Bce, Mario Draghi, seduto in prima fila, Visco si sente in una botte di ferro e accusa dei ritardi la frammentazione delle istituzioni europee che devono valutare le richieste dell’Italia e delle sue banche. La Banca d’Italia è invece efficiente, ha visto per tempo le situazioni di crisi e ha subito denunciato i casi di mala gestio, insomma fa e ha fatto al meglio tutto ciò che doveva fare senza errori e senza ritardi, con buona pace dei risparmiatori truffati che si ostinano a vedere forti carenze nell’attività di vigilanza e omissioni che, in qualche circostanza, rasentano il dolo. L’autodifesa del governatore è sconcertante: “Non sta a me giudicare, posso solo dire che l’impegno del direttorio è stato massimo”, ha aggiunto parlando a braccio nel corso della sua relazione.
Significativo, tuttavia, come Visco non abbia speso una sola parola sui risparmiatori truffati e sui costi che sopportano e hanno dovuto sopportare, l’ennesimo segnale di quali siano le reali priorità di Via Nazionale e gli interessi da tutelare. La riprova? Parlando a braccio, il governatore ha fatto esplicito riferimento a un potere di cui l’istituto centrale dispone da oltre due anni e che però si è finora guardato bene dall’utilizzare, se non forse in banche minori del tutto avulse dagli intrecci di potere tra politica ed economia: il potere di rimuovere i manager e i vertici degli istituti. “Se ci si accorgerà che gli azionisti, dopo essere stati messi sull’avviso, ritardano a prendere i provvedimenti necessari, si dovrà intervenire con tempestività e decisione”. Finora, appunto, non è stato fatto e personaggi come Gianni Zonin e Vincenzo Consoli hanno potuto tranquillamente restare alla guida della banca reiterando mala gestio e reati. Non solo: ma per anni la Banca d’Italia ha evitato accuratamente di informare gli azionisti delle malefatte dei vertici e della non congruità del prezzo delle azioni che veniva fissato arbitrariamente su proposta dei consigli d’amministrazione dei due istituti. Una prassi peraltro consolidata anche presso la “banca dei banchieri centrali”, la Csr (Cassa di sovvenzioni e risparmio), le cui azioni di anno in anno non fanno che crescere di valore a prescindere dall’andamento dei conti dell’istituto.
Ma tutto questo non conta: Visco sente il vento in poppa e dispensa a piene mani consigli sulle riforme, sul non farsi cogliere impreparati dalla normalizzazione della politica monetaria che porterà alla fine graduale del quantitative easing, sull’euro e sull’Europa. Dentro questo castello di parole si nasconde anche un momento di verità. Sempre parlando a braccio, Visco ha ammesso la propria e l’altrui inadeguatezza poiché “non c’è stata piena consapevolezza anche a livello politico” dei rischi derivanti dalle norme sul bail-in, norme che sono state negoziate e approvate anche dall’Italia in sede europea e successivamente recepite nel nostro ordinamento. Tecnici e politici hanno preso la questione sottogamba, non facendo dunque gli interessi del Paese. Anche per questo forse, Visco – il banchiere centrale più pagato al mondo (guadagna più della presidente della Fed e dello stesso Draghi) – ha ottime chance di fare il “bis” ottenendo la conferma dell’incarico per i prossimi sette anni.