L’Ilva andrà ad Am Investco, entro lunedì prossimo 5 giugno. Non ci sono spazi di manovra. Se non un’ultima flebile speranza legata a un parere dell’Avvocatura di Stato sulla possibilità di riaprire la gara tra le due cordate, esclusivamente sul prezzo. La risposta alla richiesta del ministero dello Sviluppo economico dovrebbe arrivare entro giovedì sera. Ma si tratta più che altro, secondo i sindacati, di una mossa cautelativa per evitare successive contestazioni. La possibilità di una reale inversione di rotta è così ridotta che i sindacati hanno già iniziato la battaglia su esuberi e livelli occupazionali. I primi a muoversi sono stati i dipendenti di Taranto: in 2mila hanno abbandonato le linee di produzione dell’impianto pugliese mentre Cgil, Cisl, Uilm e Ugl erano in riunione al Mise con il ministro Carlo Calenda, ormai pronto a firmare il decreto che assegnerà l’Ilva alla cordata composta dal colosso franco-indiano ArcelorMittal e al Gruppo Marcegaglia, con il sostegno di Intesa SanPaolo.
I sindacati non sono d’accordo su nulla, nonostante le rassicurazioni del ministero. E non è un dettaglio. Perché, come confermato dal Mise, l’accordo con le sigle che rappresentano i 14.200 dipendenti di Ilva è vincolante per la conclusione della vendita. Il braccio di ferro, insomma, inizia ora e ruota attorno ai numeri che Calenda e i commissari hanno illustrato martedì scorso: il piano industriale di Am Investco prevede 9.400 occupati, 4.800 in meno rispetto a oggi, dal 2018 per poi scendere a 8.400 nel 2023 quando verrà completata l’ambientalizzazione e si alzeranno i livelli produttivi. Seimila esuberi a regime dei quali i sindacati non vogliono sentir parlare.
“Avevamo chiesto di approfondire il piano prima dell’aggiudicazione, ci è stato detto di no ed è un atto di cui il governo si assume la responsabilità. Gli scioperi sono un messaggio esplicito alla cordata: il piano va cambiato”, ha commentato il segretario della Fiom Cgil Maurizio Landini. “Deve essere interesse, non solo del sindacato ma anche del governo, comprendere compiutamente se questo investitore ha intenzioni di rilancio o altro: in questi anni ArcelorMittal mentre chiudeva tutte le aree a caldo d’Europa – ha spiegato il numero uno della Fim Cisl Marco Bentivogli – continuava a partecipare a tante gare senza mai finalizzare proposte di acquisto. Per questo è necessario capire se punta sul rilancio industriale dell’Ilva o sulle sue quote di mercato, peraltro in discesa. Il confronto ora è fermo, riprenderemo dopo il decreto di aggiudicazione. Ma ci sono troppe incognite”. I dubbi e le perplessità riguardano anche gli investimenti industriali, il riavvio di altiforni e i tubifici, oltre che la parte ambientale per la quale vengono richiesti progetti e cronoprogrammi attuativi. E, apprende ilfattoquotidiano.it, nell’ultima riunione sarebbe emersa anche la possibilità che non tutto il ciclo di lavorazione venga svolto nel siderurgico di Taranto, andando ben oltre l’arrivo delle bramme nell’impianto pugliese che era trapelato nel confronto di martedì.
Come svelato dal Fatto Quotidiano, riguardo a questi aspetti sono stati gli stessi tecnici interpellati in fase di valutazione dai commissari ad esprimere critiche al piano di Am Investco, ritenuto “incoerente su investimenti e volumi di produzione”. Così avevano messo nero su bianco gli esperti nella relazione presenta a Carrubba, Gnudi e Laghi. Ma prima la triade che gestisce l’Ilva da diciotto mesi, poi il Comitato di vigilanza del ministero e infine Calenda hanno tirato dritto. E lunedì arriverà il decreto, non più rinviabile – secondo il ministero, ma non secondo Acciaitalia che parla di “una settimana” di tempo – perché la procedura va chiusa entro il 30 settembre, termine ultimo per ottenere l’approvazione al nuovo piano ambientale, al quale seguirà l’esame da parte dell’Antitrust Ue per verificare se l’acquirente abbia o meno posizioni dominanti nel mercato europeo. Se così dovesse essere, Am Investco si è comunque impegnata a disinvestire fuori dall’Italia.
Intanto, durante l’estate e forse fino al parere dell’Antitrust Ue che potrebbe arrivare a marzo 2018, inizierà il confronto tra i sindacati e l’azienda, abilitata a trattare come futuro gestore dell’Ilva in attesa della presa in carico. Molto si gioca attorno all’ipotesi che i 4.800 esuberi confluiscano nella società, guidata dai commissari, dedicata agli interventi di risanamento ambientale dell’Ilva, aggiuntivi e complementari a quelli dei privati, mentre gli altri rimarranno sotto il cappello di Am Investco. Un piano che le sigle rigettano, perché sarebbe l’anticamera dei licenziamenti: “Prima o poi l’ambientalizzazione finirà, a quel punto gli operai saranno lasciati a casa”, spiega il segretario della Fiom Rosario Rappa a ilfattoquotidiano.it. In mezzo alle due parti, c’è il Mise che ha ribadito il suo ruolo di garanzia e di vigilanza rispetto all’intero percorso di ristrutturazione. “Il governo – ha affermato il vice-ministro Teresa Bellanova – sarà protagonista del confronto e farà di tutto perché il numero di lavoratori che non transiteranno nella società sia il più ridotto possibile con l’impegno a lavorare per la ricollocazione di queste persone”.