Come quelle coppie che litigano, si lasciano, poi si riprendono non per amore, ma per convenienza, perché è il male minore ed entrambi i coniugi hanno una faccia da salvare. Ecco, la Lega Nord e ciò che rimane di Forza Italia a Padova stanno interpretando questa dialettica coniugale un po’ scoppiata. Si sono detti addio a novembre. Il sindaco Massimo Bitonci era stato buttato fuori dalla casa (comunale) con una fronda annunciata, ma conclusa nottetempo davanti a un notaio dove anche un paio di consiglieri azzurri misero la firma su un atto di sfiducia. Sembrava un divorzio vero e proprio, invece ognuno dei due partiti ha capito che da solo non sarebbe andato da nessuna parte. E così hanno fatto pace, senza promettersi eccessive passioni, ma siglando un patto elettorale che ha fatto finire sotto l’ombrello leghista il partito di Niccolò Ghedini, gran cerimoniere dell’accordo assieme a Luca Zaia.
La tenzone padovana si gioca sull’interrogativo se il sindaco defenestrato, nonostante l’oggettiva figuraccia, riuscirà a succedere a se stesso, grazie anche all’appoggio di quelli che lo hanno brutalmente disarcionato e se la sono poi presa con i due consiglieri comunali radiati per supposta insubordinazione. Domanda dalle cento pistole anche perché la vittoria di Bitonci era stata piuttosto inattesa e aveva beneficiato dei maldipancia provocati alle sinistre più intransigenti da Ivo Rossi, candidato e prosindaco reggente dopo le dimissioni di Flavio Zanonato, diventato ministro al culmine di un lungo regno cominciato addirittura nel 1993.
Non è che in casa del Pd i matrimoni siano più felici o promettenti. A volte passano per combinazioni astrali che solo il mondo della politica (una certa politica) può tollerare. Non è tanto il nome del candidato sindaco, Sergio Giordani, 63 anni, patron della catena di negozi Non solo sport, che tra l’altro ha avuto la disavventura di un grave malore in campagna elettorale, da cui sembra essersi ripreso. Un imprenditore in area Pd non è una novità, anche perché alla presidenza dell’Interporto era stato messo da Zanonato nel 2008 (e confermato da Bitonci nel 2015). E’ l’uomo che vent’anni fa accompagnò l’avventura in serie A del Padova Calcio, da presidente del club in quei due anni storici. Non un fervente di sinistra, ma sotto il regno di Matteo Renzi, si è abituati a molto altro, anche se in questo caso è più l’ombra dei bersaniani che si allunga sulla candidatura.
Nessuno si scandalizza più, salvo qualche incancellabile paradosso. Che in questo caso si chiama Maurizio Saia. Già, proprio l’ex assessore alla sicurezza, lo sceriffo di Bitonci. Nel suo passato un’iscrizione al fronte della Gioventù a 14 anni, due anni dopo al Msi-Dn. Un pedigree di destra che passa per la presidenza del Fuan e continua con la vicinanza a Pino Rauti. Nel ’95 abbraccia la svolta di Fiuggi. Deputato e senatore per An, segue Gianfranco Fini nella sterile avventura di Futuro e Libertà. Dal 2011 gioca in proprio tra liste civiche e Nuovo Centrodestra. Nel 2014 entra in giunta con Bitonci.
Saia ha un cagnolino bianco e nero che si chiama Benito, omaggio alle proprie radici neo o post-fasciste. Nonostante abbia sposato alcune delle campagne più ad effetto della gestione-Bitonci, è uno degli alleati di Giordani. Ad esempio per aver installato i dissuasori contro gli extracomunitari in stazione ferroviaria. Oppure, la guerra “per eliminare dal territorio tutti gli elementi di degrado: fotograferemo e cacceremo gli accattoni molesti”. Era l’assessore che aveva anche promesso di ripristinare la squadra di interventi speciali dei vigili urbani. Cosa ci fa nella casa del centrosinistra? A Padova se lo domandano in molti, ma tutti sanno già anche la risposta.
E’ stato lui a far cadere Bitonci, anche se quest’ultimo ci aveva messo del suo litigando con mezza Forza Italia ed eliminando dalla giunta chi non era in sintonia con il suo pensiero politico. Le dimissioni di Saia erano state la classica goccia finale. Nel giro di poche ore Bitonci è stato sfiduciato. Da più di trent’anni in politica, Saia è andato subito all’incasso. Non è un caso che nel gennaio scorso ci fosse anche lui nel pranzo della nomenklatura Pd guidata dal segretario Massimo Bettin, che aveva sancito la coalizione anti-Bitonci. C’erano anche il sottosegretario Barbara Degani – Forza Italia di lungo corso, ora in Ncd – e perfino una vecchia conoscenza delle cronache di Mani Pulite, l’ex assessore comunale di centrodestra, Riccardo Ronchitelli, che finì in manette per concussione nel 2000 e patteggiò due anni. “Ho sbagliato, ho pagato, adesso ho il diritto di reinserirmi a testa alta nella società civile” aveva detto nel 2003. Saranno anche passati tre lustri, ma resta il fatto che il Pd, bisognoso di rimontare su Bitonci, sia perlomeno di larghe vedute.
“Nessun imbarazzo, Saia ha ammesso i suoi errori, ovvero di essersi schierato con il podestà Bitonci” è la replica di Bettin, segretario Pd. “Saia ha aderito liberamente al progetto del centrosinistra per cambiare la città, non è nemmeno candidato, anche se si riferisce a una delle sei liste della coalizione. Ronchitelli? Non so neanche chi voti, io ho 31 anni e di lui ho letto sui libri di storia… Ma attenzione, il vero problema è che se non mandassimo a casa Bitonci sarebbe un disastro”. Nella casa del Pd dicono di guardare alla luna, non al dito, chissà con quali effetti nelle urne.
“A me pare il segno che nel centrosinistra regni una grande confusione e una perdita di identità” ha buon gioco a commentare Arturo Lorenzoni, il cinquantenne docente universitario di Economia dell’Energia candidato per Coalizione Civica. E’ un mix tra Pisapia, liste civiche di sinistra e la voglia matta di creare una città alternativa (“inclusiva, che vive, che si muove, che si innova e che sa stare assieme”) rispetto agli steccati del leghista Bitonci. Non è la sinistra, anche se molti candidati ne sono figli, è qualcosa di più articolato, laico e cattolico allo stesso tempo, ambientalista e pacifista.
“La convivenza con Forza Italia? Ottima”. Bitonci fa lo sposino in luna di miele. Ma non è certo disarmato: “Io sono la continuità, devo finire il lavoro che avevo cominciato. Bene che i traditori siano andati dall’altra parte”. E guarda soddisfatto agli ultimi sondaggi ufficiali. Viene accreditato al primo turno di un 42-46 per cento, mentre Giordani è al 29-33, Lorenzoni viaggia sull’11-15 e il Cinquestelle Simone Borile arriva intorno al 10. “Saia porterà pochissimi voti a Giordani e io ho un sondaggio ancora migliore…” sussurra Bitonci. Eppure, solo contro tutti, al ballottaggio è dato per soccombente sia nei confronti di Giordani che di Lorenzoni. Se non fa saltare il banco al primo colpo (improbabile), rischia di pagare caro il piattino avvelenato che in autunno gli ha confezionato Forza Italia.
I Cinquestelle affidano la loro proposta a Simone Borile, direttore del Ciels, un istituto universitario di mediazione linguistica. “Bitonci è all’ultima spiaggia, aggrappato a difendere la propria carriera politica. Dietro il centrosinistra c’è il solito Zanonato che non si è fatto scrupoli a far salire sul carro anche Saia” spiega Jacopo Berti, capogruppo padovano del M5S in Regione Veneto. “Noi combattiamo ogni giorno una battaglia contro il carrozzone de soliti partiti, per creare una vera alternativa per Padova”.