"Proteggere il nostro pianeta e guidare la crescita economica sono cruciali per il nostro futuro e non si escludono a vicenda", ha detto Bob Iger, annunciando le sue dimissioni dal Business advisory council, il consiglio di manager che si riuniscono alla Casa Bianca. Una defezione che arriva poche ore dopo quella di Elon Musk, leader nella produzione di auto elettriche
Prima la Tesla, poi subito dopo anche la Disney. Perde pezzi Donald Trump, dopo aver ufficializzato l’addio degli Stati Uniti agli accordi di Parigi sul clima. Nonostante il presidente americano abbia motivato l’uscita dal patto per l’ambiente con il bisogno di “tutelare le aziende statunitensi”, è proprio dal mondo imprenditoriale che il numero uno della Casa Bianca registra due importanti defezioni.
“Proteggere il nostro pianeta e guidare la crescita economica sono cruciali per il nostro futuro e non si escludono a vicenda”, ha detto Bob Iger, ceo di Disney, annunciando le sue dimissioni dal Business advisory council, il consiglio di manager che si riuniscono alla Casa Bianca per aiutare la politica economica del presidente. Una scelta quella di Iger compiuta in aperto dissenso con lo strappo operato da Trump. “Io sono in profondo disaccordo con la decisione di ritirarsi dall’accordo di Parigi”, ha aggiunto Iger che, su Twitter, ha spiegato che si tratta di una “questione di principio“.
La spaccatura del ceo di Disney segue di poche ore quella di Elon Musk, il fondatore di Tesla, leader nella produzione di auto elettriche, che aveva già annunciato da giorni l’intenzione di lasciare un altro organo di consulenza della Casa Bianca, lo Strategic and Policy Forum. “I cambiamenti climatici sono una realtà, lasciare Parigi non è un bene né per l’America né per il mondo”, ha detto il manager, attivo anche in altri settori dell’energie rinnovabili. Musk è un sostenitore di Trump sul fronte della riforma fiscale ma in passato ha anche criticato la politica sull’immigrazione del presidente. “Non credo che dobbiamo chiudere i nostri confini”, aveva detto.
Le uscite di Iger e Musk rappresentano praticamente uno schiaffo per l’amministrazione Trump: mostrano infatti una rottura con il mondo imprenditoriale con il quale il presidente si è vantato di aver ottimi rapporti. Molte aziende americane, da Wall Street alla Silicon Valley, hanno chiesto a Trump di restare nell’accordo di Parigi. In una lettera aperta pubblicata sui maggiori quotidiani, alcune delle principali aziende americane – fra le quali Apple, Facebook, Google, Intel e Microsoft – si erano rivolte al presidente per un appello dell’ultima ora, cercando di fare leva sulle ragioni economiche, ovvero la crescita e i posti di lavoro. Ci ha provato l’amministratore delegato di Apple, Tim Cook, chiamando direttamente Trump. Ci ha provato Exxon, il colosso petrolifero guidato fino a pochi mesi fa dal segretario di Stato, Rex Tillerson, ribadendo a nome dell’intero settore che l’industria petrolifera è pronta a convertirsi alle nuove tecnologie. “Operiamo in un’economia globale e se non siamo parte di un accordo globale sul clima siamo suscettibili a misure ritorsive, come nuove tasse”, ha dichiarato Intel. Non usa mezzi termini neanche l’amministratore delegato di Cargill, David MacLennan, secondo il quale uscire dall’accordo ha un impatto “negativo sugli scambi commerciali, la vitalità economica e sui nostri rapporti con la comunità mondiale”. Come non detto però: Trump ha tirato dritto per la sua strada.