Lo chiamavano tedesco
(e invece non c’entra proprio niente)
Per dare forse un’aura di autorevolezza a un sistema contorto e complicato, è passato il messaggio che la riforma elettorale su cui si sono accordati finora Pd, M5s e Forza Italia è “come il sistema tedesco“. Ma così come non lo era il cosiddetto Rosatellum, neanche l’ultima formulazione ricorda davvero il sistema tedesco.
Prima differenza: in Germania si danno due voti, uno al candidato dell’uninominale, l’altro al partito.
Seconda differenza: l’attribuzione dei seggi. Il sistema in discussione alla Camera, infatti, mescola e unisce la parte uninominale e la parte proporzionale dei listini. In un gergo tecnico un po’ horror questi sistemi si chiamano grabensystem (sistema a fossato), con una netta separazione tra parte maggioritaria e parte proporzionale. In Germania, al contrario, le due parti si integrano tra loro: questo avviene perché lì si vota con due schede diverse. Esiste infatti un meccanismo di compensazione per il quale chi vince di più nei collegi prende meno seggi dal proporzionale. Quindi il numero di seggi a cui ha diritto un partito lo decide la cifra proporzionale nazionale. Ma chi occupa quei seggi lo decidono in prima battuta i collegi uninominali (quindi gli scontri tra un candidato per ciascun partito) e si pesca dai listini bloccati solo se c’è da integrare. Esempio: il Pd ha diritto a 300 seggi, negli uninominali ne vince 280, gli altri 20 deputati che mancano vengono scelti dai listini. Nel caso della legge in discussione invece il Pd per arrivare a 300 prenderà un po’ dall’uninominale e un po’ dal listino bloccato.
Terza differenza: nel sistema in discussione a Montecitorio è eliminato il ripescaggio dei partiti che vincano in almeno tre collegi uninominali.