Dopo l'attentato al London Brigde la premier britannica Theresa May ha annunciato la revisione delle leggi antiterrorismo, dagli Usa Donald Trump è tornato a caldeggiare il suo Muslim Ban e anche in Italia qualcuno comincia a chiedere "leggi speciali". "Decidiamo di mettere in carcere tutti i sospetti? - domanda Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali della Cattolica di Milano - ok, allora dobbiamo accettare di vivere in una dittatura"
L’attentato terroristico sul London Bridge e al Borough Market di Londra ha provocato una nuova reazione tra coloro che chiedono maggiore sicurezza e una stretta sul radicalismo europeo. Se dagli Stati Uniti Donald Trump torna a pubblicizzare il suo Muslim Ban e ad attaccare il Sindaco musulmano di Londra, Sadiq Khan, per la sua “calma” eccessiva, anche la premier britannica, Theresa May, annuncia una “stretta al radicalismo”, maggiori poteri alle forze di polizia e la volontà di trovare un accordo con i colossi del web per sconfiggere l’estremismo online. “Soluzioni ‘allettanti’, ma inapplicabili – commenta Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali (Aseri) dell’Università Cattolica di Milano – La sicurezza assoluta che alcuni politici invocano significa anche l’eliminazione di alcune libertà fondamentali della nostra società. Per questo, Muslim Ban e ‘Guantanamo europea‘ sono idiozie”.
“Quando è troppo è troppo. Le cose devono cambiare – ha detto May domenica in conferenza stampa a Downing Street – c’è stata, dobbiamo essere franchi, troppa tolleranza nei confronti dell’estremismo nel nostro Paese”. Per questo “deve essere rivista la strategia anti-terrorismo” Il primo ministro inglese ha puntato il dito anche contro il web, colpevole di dare accoglienza al messaggio radicale senza i necessari controlli: “Non possiamo concedere a questa ideologia lo spazio sicuro per crescere – ha dichiarato anche sul suo profilo Facebook – Dobbiamo lavorare uniti e stipulare accordi internazionali” in tema di cybersecurity. Pronta la risposta dei vertici del colosso social: “Vogliamo che Facebook sia un luogo ostile per gli estremisti”, ha commentato Simon Milner, Policy Director di Facebook, specificando che l’azienda sta già collaborando strettamente con le forze di sicurezza di tutto il mondo. La premier britannica ha poi continuato il suo discorso sottolineando che il tempo della comprensione è finito, che è necessario iniziare alottare per garantire i diritti, le libertà e i valori del popolo inglese: “I nostri valori sono superiori a quelli offerti dai predicatori d’odio” e per garantirli, ha annunciato, è pronta a dare maggiore potere alle polizie e a inasprire i controlli sui reati legati al terrorismo.
“Un obiettivo difficile da raggiungere – commenta Parsi -, visto che maggiore sicurezza coincide con minore libertà, valore imprescindibile della nostra società. Esistono diversi modi per combattere l’estremismo in Europa. Uno, a lungo termine, prevede di accelerare il processo d’integrazione delle comunità straniere, in particolare musulmane. Questo assesterebbe un duro colpo al proselitismo e diminuirebbe il bacino in cui gli estremisti possono operare. Altra soluzione prevede un maggiore controllo del territorio, ma questo in Paesi come il Regno Unito esiste già, visto che in questo ultimo attentato il tempo d’intervento è stato di otto minuti. Serve allora maggiore prevenzione e qui arriviamo all’ultima soluzione possibile: riuscire a fare ciò che fino ad oggi ci è risultato molto difficile se non impossibile, ossia infiltrarci all’interno delle comunità musulmane europee. Questo ultimo punto mi sembra necessario”.
Tra chi invoca maggiore sicurezza, poi, ci sono coloro, soprattutto nella destra europea (domenica il leghista Roberto Calderoli, vicepresidente del Senato, chiedeva “leggi speciali“), che invocano una ‘Guantanamo globale’ per tutti i soggetti coinvolti o anche sospettati di essere in contatto con gruppi fondamentalisti: “Una soluzione inapplicabile – sostiene il docente – Il danno, in questo caso, è maggiore del beneficio. Decidiamo di mettere in carcere tutti i sospetti? Ok, allora accettiamo di vivere in uno Stato di polizia, una dittatura, dove chiunque appartenga a una determinata etnia, pratichi una certa religione, abbia frequentato, anche involontariamente, luoghi o persone legate all’estremismo può finire in un carcere di massima sicurezza. Un mondo in cui essere intercettati sarebbe una costante. Saremmo davvero disposti a rinunciare ai valori di libertà su cui si fondano le nostre società liberali in nome di maggiore sicurezza? Probabilmente no, ecco perché idee come il Muslim Ban sono un’idiozia”.
Per pensare di sconfiggere il terrorismo, continua Parsi, è necessario capire che si devono creare collegamenti e dialogo con le comunità musulmane e le classi dirigenti dei Paesi arabi più coinvolti dal fenomeno, che lo esportano: “Per combattere l’estremismo è necessario andare all’origine del fenomeno, nei Paesi che offrono terreno fertile ai radicali. Questa loro caratteristica non è una diretta conseguenza dell’essere a maggioranza musulmana, altrimenti non si spiega la tranquillità con la quale si vive in Stati come la Malesia, ma di essere caratterizzati da un contesto socio-politico disagiato dove il radicalismo può affondare le proprie radici. Per questo dobbiamo cercare di aiutare queste società e, parallelamente, dialogare con le comunità musulmane che devono avere interesse a collaborare contro il terrorismo”. Per fare questo, però, è necessaria una classe politica forte, pronta a dare risposte concrete ma che, secondo Parsi, oggi non esiste: “I politici dovrebbero affrontare seriamente la questione – dice il docente – e non perdere mesi a discutere su quanto una legge elettorale favorisca un partito piuttosto che un altro. Spesso prendiamo Trump come esempio dell’incapacità politica dei nostri leader, ma non occorre andare negli Stati Uniti per averne la prova, basta guardare in Europa, soprattutto in Italia”.
Con una classe politica non ancora in grado di offrire risposte concrete sul piano politico, è necessario che le persone riescano a controllare la paura nella quale vivono. La paura continua di attacchi in strada è la conseguenza di tragedie sfiorate come quella di Piazza San Carlo, a Torino, ma anche del crescente consenso di partiti politici che con la paura giocano per fare campagna elettorale. “Episodi come quello di Torino – conclude il docente – sono normali in un contesto storico come quello che stiamo vivendo. Oggi, chiunque di noi si trovi in piazza, con un’esplosione e persone che gridano che c’è una bomba si farebbe prendere dal panico. È un esempio della paura in cui viviamo oggi, una paura che non possiamo eliminare, ma controllare. Una paura che non deve far perdere razionalità nella scelte che facciamo ogni giorno, anche quelle politiche”.