Dallo scorso 25 maggio tutti i detenuti nel braccio di isolamento della prigione di Folsom, in California, sono in sciopero della fame. Stanno pacificamente protestando contro le terribili condizioni di detenzione cui sono sottoposti. Alcuni cittadini si sono dati appuntamento ieri 4 giugno di fronte al carcere per far sentire ai detenuti il loro appoggio nel chiedere condizioni di vita rispettose della dignità di tutti.

La Folsom prison è una delle carceri più dure degli Stati Uniti. È immortalata in antichi film quali “Inside the Walls of Folsom Prison”, di Crane Wilbur, girato nel ’51, e “Rivolta al blocco 11” di Don Siegel, del 1954. Edward Bunker, che vi era stato recluso, in “Educazione di una canaglia” descrive la prigione con queste parole: “Folsom copre un’area di centottanta ettari…. Ci sono soltanto tre muri. Il quarto muro è in fondo a un cortile creato spianando una collina, e in realtà è una gola in cui gorgoglia e spumeggia l’American River. Un detenuto imbecille una volta si trasformò in un sottomarino umano, con tanto di tubo respiratorio e tasche zavorrate, ma sopravvalutò la sua spinta di galleggiamento, e finì sul fondo annegando. Le possibilità di raggiungere il fiume sono minime (…). La storia di Folsom è brutale e imbrattata di sangue”.

Il 13 gennaio del 1968 Johnny Cash – che anni prima aveva scritto la canzone Folsom Prison Blues – ha tenuto un memorabile concerto dentro Folsom. Suonò in una sala mensa gremita di detenuti. Chiudete gli occhi e immaginate la scena: le luci non potevano essere abbassate, siamo pur sempre in un carcere; lui sale sul palco, dice semplicemente “Hello, I’m Johnny Cash”; e comincia a cantare. Quella frase, la musica, le canzoni di quel giorno, sono rimaste immortalate in un grandissimo disco dal titolo At Folsom prison. Nel disco si sente l’atmosfera che c’è intorno a Johnny Cash, si sentono i detenuti che applaudono, parlano, ridono con lui, sono rapiti dal concerto e dalla sua voce. “La prima volta che ho suonato in un carcere ho pensato che quello era l’unico posto in cui registrare un album dal vivo”, aveva detto Johnny Cash, cui in passato era già capitato di suonare nel carcere di San Quentin, ancora in California, e aveva sentito la grandissima partecipazione dei detenuti. Ma neanche la Columbia Records, la più aperta delle due case discografiche con le quali Cash pubblicava, vedeva di buon occhio l’idea. Solo quando nel 1967 il vecchio produttore Don Law va in pensione e arriva al suo posto Bob Johnston, più giovane e più ardito, si riesce nell’impresa. Johnston accetta di registrare il concerto. E aveva visto più che giusto: At Folsom prison vende sei milioni di copie.

At Folsom prison è un album strepitoso. Jailhouse Rock è la trasmissione radiofonica settimanale, in onda sul circuito di Popolare Network, curata dall’associazione Antigone, alla quale collaborano varie redazioni e rock band di detenuti in giro per le carceri italiane. La prima puntata in assoluto mai andata in onda di Jailhouse Rock, oramai ben sette stagioni radiofoniche or sono, era dedicata al grande concerto nella prigione di Folsom. Il nostro cuore musicale è dentro Folsom insieme a Johnny Cash. Dallo scorso 25 maggio, ci sentiamo dentro Folsom prison anche nel chiedere il rispetto dei diritti di ogni essere umano.

L’affollamento delle prigioni negli Usa ha avuto un freno in anni recenti. Su questo ha avuto un ruolo essenziale Barack Obama, che è stato capace di mettere in discussione la durezza della giustizia americana graziando centinaia di detenuti condannati all’ergastolo per reati legati alla droga. Donald Trump, tuttavia, proprio sul terreno della sicurezza, della lotta alla droga e delle politiche anti-immigrazione ha costruito la sua fortuna. Obama voleva rescindere i contratti con quelle multinazionali che hanno in gestione le carceri private. Trump ha invece annunciato di voler immettere più ossigeno nel sistema. “È finita la stagione riformista? Siamo di fronte a un ritorno all’incarcerazione di massa su scala universale?”, ci chiedevamo nel nostro ultimo Rapporto sulle carceri. “Il rischio è notevole”, rispondevamo. “Se le politiche di Trump porteranno ad aumentare il tasso di incarcerazione nel Paese che già oggi ne detiene il primato, l’effetto potrebbe propagarsi significativamente al di là dell’oceano. Già in passato abbiamo assistito a meccanismi emulatori da parte di Paesi europei nei confronti degli Usa”.

In questo quadro, sono contenta di far sapere a chi leggerà queste righe che i detenuti di Folsom hanno trovato la forza di mettere in atto una pacifica protesta per i propri diritti. Johnny Cash era uno di loro. Sento le note della sua chitarra sotto le mura di ogni galera del mondo.

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