Circa mille Comuni andranno al voto l’11 giugno per rinnovare le amministrazioni locali. Senza molto entusiasmo, ci sarò anch’io tra gli elettori, e Verona, la città nella quale sono nato e ho trascorso gran parte del mio tempo fino ad oggi, sarà una delle più grandi, probabilmente una delle più interessanti da un punto di vista politico. Non so come le cose stiano andando altrove, ma a Verona, al di là dei giochetti politici, la situazione ristagna: la politica vigente (quella che ci ha portato dove siamo…) non molla l’osso anche se con delle elezioni amministrative sarebbe legittimo aspettarsi qualche cambiamento. L’unica cosa certa per il futuro è che i gruppi di controllo del passato manterranno il potere.

In realtà senza nessun tentativo di riverniciatura, i candidati sindaci con ragionevoli prospettive di vittoria son tutti «cavalli» di ritorno, gente già vista e conosciuta: una è la «fidanzata» padovana del sindaco uscente Flavio Tosi, l’altro (appoggiato da quasi tutto il centro-destra) già assessore nella I Giunta Tosi, porta addirittura il cognome (Sboarina) di uno dei più discussi sindaci democristiani; infine la candidata Pd-renziana (ben separata dal resto della sinistra) è un neo-consigliere regionale, emersa incolume nel recente naufragio di Alessandra Moretti. Va da sé che il livello medio dei candidati che infiorano le liste sia conseguente, coi soliti pochi nomi di prestigio che faranno rapidamente la fine che sappiamo al momento della conta postelettorale, e il resto mediocri portatori d’acqua in cerca di incarico. La società civile è restata ampiamente fuori, Verona non è poi ridotta così male come il livello dei candidati farebbe pensare, ma questo vuole la politica.

Mi chiedo, quanto della situazione veronese assomiglia al resto d’Italia? Onestamente non ho conoscenze così approfondite di altre realtà locali da poter esprimere un giudizio certo, ma l’impressione è che la musica sia la stessa un po’ dappertutto. La politica sta morendo e nessuno sembra avere voglia e interesse a rianimarla, nemmeno i nuovi partiti («nuovi di fuori, vecchi di dentro» G. Gaber). Il potere si ottiene, si rafforza e si spartisce a prescindere dal grado di democrazia, dal livello di partecipazione. Anzi minore e qualitativamente peggiore è la partecipazione, più agevole è il controllo. A Verona l’hanno capito tutti: è il bassissimo livello della classe politica a far da garante al mantenimento dello status quo, a far sì che i vecchi padroni della città possano continuare a fare i loro interessi. Tutta la fase pre-elettorale è stata una corsa, una selezione all’incontrario, nel tentativo di eliminare qualsiasi novità di un certo spessore, a escludere persone non completamente controllabili dagli apparati, a offrire candidati «nuovi» con più pregi che difetti («se questo è il nuovo…» la voce comune).

L’aspetto più drammatico che infliggerà gravi danni almeno per un altro po’ di anni – anche se forse comune alla gran parte degli altri scenari politici – è che – anche a prezzo di ridurre la partecipazione – è stato riaffermato il principio per il quale non esiste salvezza al di fuori dei partiti. Verona – come molte altre città italiane – è ferma da anni, aspetta da oltre un ventennio una tramvia che non arriverà mai, è piena di contenitori di grande importanza architettonica e artistica che sono abbandonati, è bloccata da lotte intestine, che si quietano solo sulla spartizione delle aree edificabili e sulla realizzazione di nuovi mega shopping centre. L’interesse reale dei cittadini è completamente inascoltato e disatteso. La prassi di confondere interessi pubblici e privati, come quella di lasciar spazio nei lavori pubblici a società attenzionate dall’Antimafia sono molto diffuse. Infine anche i denari qui come altrove stanno finendo.

Anche per i Cinquestelle (appunto il cosiddetto nuovo) è invalso il principio che non sono gli individui e la società a contribuire a formare la struttura e i programmi dei movimenti (nemmeno a livello locale), ma sono i partiti a dire agli individui e alla società ciò che deve fare: il candidato «grillino» è stato scelto con ben 83 clic e di conseguenza farà il portavoce, more solito, non si sa bene di chi e di che cosa, visto che grandi teste pensanti a Verona nel Movimento non sono segnalate. Così la politica muore, le città languono, sono destinate al declino, anche quelle come Verona che avrebbero potenzialità di sviluppo e di ricchezza incredibili. E a completare il quadro intanto, tutti assieme appassionatamente, sta arrivando una legge elettorale (proporzionale) che rafforzerà il controllo dei partiti nell’esercizio delle funzioni democratiche…

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