Gli operai degli stabilimenti di Cornigliano e Novi Ligure hanno manifestato contro gli esuberi previsti dai piani degli acquirenti privati. Il ministero dello Sviluppo firmerà in giornata l'aggiudicazione a ArcelorMittal e Marcegaglia. Il rilancio di Acciaitalia, firmato peraltro solo da due membri della cordata, è ritenuto fuori tempo massimo
Per l’Ilva è il giorno della verità. Lunedì 5 giugno è atteso il decreto con cui il ministero dello Sviluppo ufficializzerà che il nuovo proprietario del gruppo siderurgico è Am Investco, la cordata costituita da ArcelorMittal e Marcegaglia con il supporto di Intesa Sanpaolo. Che ha messo sul piatto 1,8 miliardi, ma con un piano che ha fatto storcere il naso ai tecnici incaricati dai commissari di valutare le proposte e su cui dovrà pronunciarsi l’Antitrust europeo.
Nel frattempo sabato scorso i contendenti di Acciaitalia hanno rilanciato, presentando una nuova offerta da 1,85 miliardi (650 milioni in più rispetto a quella iniziale e 50 in più rispetto ad Am Investco), con quasi 5 miliardi di investimenti totali e l’impegno ad assumere da subito 9.800 dipendenti di cui 2.000 impegnati nella realizzazione degli investimenti ambientali e industriali. La precedente offerta prevedeva 7.800 posti, contro i 9.400 di Am Investco, che però intende in seguito lasciare a casa altre persone scendendo a 8.400 nel 2023. Per gli interventi ambientali il compratore avrà a disposizione anche 1,1 miliardi di euro sugli 1,3 frutto del patteggiamento fra Adriano Riva e il Tribunale di Milano firmato nelle settimane scorse.
Ma il ministro Carlo Calenda, forte del parere dell’Avvocatura dello Stato (che però si è espressa su eventuali rilanci solo sul prezzo), ha sbarrato la strade facendo sapere che “le procedure di gara non si cambiano in corsa o peggio ex post”. Per di più il rilancio è ritenuto “non conforme” perché porta solo le firme di Jindal e della Delfin di Leonardo Del Vecchio, mentre Cassa depositi e prestiti e Arvedi si sono sfilati dalla cordata che si era iscritta alla gara. Jindal South West e Delfin si sono impegnati a rilevare pariteticamente le quote degli altri soci (27,5% di Cdp e 10% di Arvedi) e sostenere da soli gli impegni. Tra cui quello di riportare la produzione dell’area a caldo ai suoi valori storici di circa 10 milioni di tonnellate, contro i 6 milioni di oggi, e “l’impiego di tecnologie innovative, non ancora attuate in Europa, atte a determinare una sensibile riduzione degli impatti ambientali“. In particolare il piano prevede investimenti in “tecnologie a gas e elettriche che riducono l’uso del carbone“ e le relative emissioni.
“Non abbiamo nessuna intenzione di ritardare l’aggiudicazione della gara”, ha confermato il ministro per Coesione territoriale e Mezzogiorno Claudio De Vincenti. “Ci tengo a sottolineare che le due offerte su cui si è espressa la valutazione e la proposta dei commissari sono offerte elaborate in mesi di lavoro delle due cordate, queste proposte fanno testo, non le improvvisazioni dell’ultima ora”. In attesa del decreto, i segretari generali di Fim, Fiom e Uilm Marco Bentivogli, Maurizio Landini e Rocco Palombella hanno scritto al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e a Calenda chiedendo la convocazione di un incontro preventivo per “poter esplicitare le valutazioni sindacali su una vicenda strategica per il paese e per il mondo del lavoro, quale quella dell’Ilva”. Anche da Genova, dove gli operai impiegati negli stabilimenti Ilva di Cornigliano e Novi Ligure hanno scioperato per otto ore e marciato fino al centro della città, è partito un documento indirizzato al governo: rappresentanti dei lavoratori e delle istituzioni, tra cui il sindaco Marco Doria e il governatore Giovanni Toti, chiedono un incontro urgente e il rispetto dell’Accordo di programma del 2005 sull’Ilva di Genova, che tutelava i livelli occupazionali. Il testo è stato sottoscritto anche dal prefetto Fiamma Spena e dal presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Paolo Emilio Signorini.