"Il Qatar è il Paese meno allineato alle posizioni saudite - spiega Paolo Magri, direttore dell'Ispi - e gestisce con l'Iran il giacimento di gas South Pars/North Dome nel Golfo Persico. Nel suo viaggio in Medio Oriente il presidente Usa ha lanciato un messaggio a Arabia Saudita e Israele, che la ricomposizione dell’ordine regionale è solo materia loro"
Lo scarso allineamento del Qatar alle politiche dettate dalla coalizione del Golfo a guida saudita e gli interessi in comune tra l’Iran e il piccolo emirato sono tra le principali cause della nuova crisi sorta tra Riyad e Doha. Dietro la decisione di Arabia Saudita, Bahrein, Egitto, Emirati Arabi e Yemen di chiudere ogni rapporto diplomatico con la dinastia al-Thani non c’è dunque il “sostegno al terrorismo”, usato come motivazione ufficiale, ma il tentativo di escludere dalla coalizione del Golfo un partner che non vuole allinearsi, soprattutto ai reali sauditi, e che mantiene una collaborazione anche con il grande avversario nell’area: la Repubblica Islamica dell’Iran. “I rapporti tra Arabia Saudita e Qatar sono tesi da tempo – spiega a IlFattoQuotidiano.it Paolo Magri, direttore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi) – in questo particolare frangente, l’Arabia Saudita sembra non avere gradito lo scarso allineamento qatarino alla linea apertamente anti-iraniana sancita dal summit di Ryad dello scorso 18 maggio. Linea ‘benedetta’, tra l’altro, proprio dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump”.
Tra le principali cause di questo scontro ci sarebbe proprio il cambio di rotta imposto dalla nuova amministrazione alle politiche americane nell’area: chiudere nuovamente le porte all’Iran, con il quale Barack Obama aveva aperto un dialogo senza precedenti dalla rivoluzione del 1979, e riaffermare l’alleanza con Israele e le monarchie del Golfo. Intenzioni che trovano conferma nella recente firma dell’accordo sulla vendita di armamenti a Ryad per 110 miliardi di dollari. “La tempistica con cui questa rottura è avvenuta non può essere un caso – continua Magri – ciò che è emerso dal primo viaggio in Medio Oriente di Trump è proprio la volontà di comunicare al blocco sunnita, guidato dall’Arabia Saudita, che gli Usa sono pronti a rimediare all’errore commesso nel 2003 con il rovesciamento del regime di Saddam Hussein, in Iraq, che ha aperto le porte all’espansione dell’influenza iraniana nella regione. Trump sembra intenzionato a tornare alla vecchia politica neocon di George W. Bush, rimettendo l’Iran su un comodo quanto anacronistico ‘Asse del male’ e segnalando ad Arabia Saudita e Israele che la ricomposizione dell’ordine regionale è solo materia loro”.
Quasi tutti i Paesi che si sono allineati alla decisione dell’Arabia Saudita di interrompere i rapporti con il Qatar vedono nell’Iran il principale avversario nella lotta per il controllo dell’area. La rivalità con Ryad ha radici antiche, da quando i due Paesi si sono fatti portavoce delle due diverse fazioni nello scontro originario all’interno dell’Islam, quello tra sunniti e sciiti. Una rivalità che, però, si è spostata sempre più dalle posizioni ideologiche o religiose verso quelle geopolitiche, in una lotta per l’egemonia tra i Paesi del Medio Oriente. In Yemen, invece, il governo sta combattendo da anni una guerra civile sanguinosa contro i ribelli Houti, sostenuti proprio da Tehran, mentre il Bahrein accusa gli ayatollah di finanziare gruppi eversivi filo-iraniani per rovesciare il potere nel Paese. L’Egitto, invece, mantiene la sua rivalità con Doha, sostenitrice della cosiddetta Primavera Araba egiziana e del deposto presidente Mohamed Morsi, oltre che rifugio sicuro dei membri della Fratellanza Musulmana egiziana considerati terroristi in patria.
Chi, invece, non poteva assolutamente tagliare i ponti con la Repubblica Islamica degli ayatollah era proprio il Qatar. Per diversi motivi. “Intanto – continua il direttore dell’Ispi – è il Paese meno allineato alle posizioni saudite, tanto da mantenere aperti canali di comunicazione con attori diversi quali Israele, Hezbollah e Hamas”. A questo si deve aggiungere che Doha e Tehran possiedono il più ricco giacimento di gas naturale del mondo proprio nel Golfo, il South Pars/North Dome: “Ѐ inevitabile che i due Paesi si trovino in una situazione di cooperazione obbligata, soprattutto perché entrambi traggono dal giacimento più di due terzi della loro produzione nazionale di gas”.
Questa rottura tra gli emirati del Golfo porterà a dei cambiamenti strategici di alcuni Paesi ma, sostiene Magri, non stravolgerà gli equilibri geopolitici attuali. Anche perché l’altro grande protagonista in campo, la Russia, ha scelto di non prendere parte allo scontro, così da poter ricoprire il favorevole ruolo del mediatore quando arriverà il momento di prendere una decisione sulle questioni in testa all’agenda mediorientale, prime fra tutte il futuro di Siria e Iraq. “Ѐ possibile ipotizzare il consolidamento di un forte blocco a guida saudita, come si sta del resto delineando in queste ore, ma che difficilmente disporrà del capitale politico necessario a risolvere le numerose crisi aperte nella regione – conclude Magri – Non credo che la rottura tra Arabia Saudita e Qatar possa incidere in maniera diretta sulla crisi siriana: è vero che i Pue paesi si sono schierati entrambi dalla parte dei ribelli fin dall’inizio del conflitto, ma difficilmente si arriverà a un riposizionamento. Del resto, gli equilibri del conflitto si sono da tempo spostati a favore del regime di Bashar al Assad, realtà con la quale entrambi dovranno dunque fare i conti. Discorso simile vale per l’Iraq, dove un dialogo con l’Iran, impegnato sul campo, sarà necessario per tutte le parti. Inoltre, questo ultimo scontro non sancisce un avvicinamento così netto del Qatar al blocco iraniano, fa solo parte della sua politica del ‘mettere le uova in più panieri’”.