La trama dello spazio-tempo potrebbe essere granulare, proprio come una schiuma: a confermare per la prima volta questa ipotesi studiata da decenni è l’analisi statistica preliminare dei dati sperimentali ottenuti dall’osservatorio per neutrini IceCube in Antartide e dal telescopio spaziale Fermi della Nasa, al quale l’Italia partecipa con Agenzia Spaziale Italiana (Asi), Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn).
I risultati, che rappresentano un primo passo verso la conciliazione della teoria della Relatività generale con la fisica quantistica, sono pubblicati su Nature Astronomy dal gruppo di Giovanni Amelino Camelia, fisico dell’università Sapienza di Roma. I modelli di ‘schiuma’ proposti finora, avendo a che fare con particelle microscopiche, descrivono lo spazio-tempo come una struttura geometrica granulare, contrariamente a quanto accade per i moti di corpi macroscopici come i pianeti, nei quali non si manifesta alcuna granularità spaziotemporale.
È una situazione analoga a quella di un secchiello trasparente riempito a metà di sabbia: guardandolo da lontano non si riesce a capire se contiene un fluido o qualcosa di granulare, ma avvicinandosi con una maggiore risoluzione si riesce ad apprezzare la granularità della sabbia. Per decenni non si è riusciti a dimostrare sperimentalmente questa ipotesi, perché gli effetti del fenomeno sono estremamente piccoli e difficili da rilevare.
Lo studio condotto dalla Sapienza ha sfruttato invece un’impostazione statistica che considera tutti i dati ottenuti da Fermi e IceCube per stabilire quanto sono frequenti le osservazioni di particelle (fotoni o neutrini) con proprietà attribuibili alla schiuma spaziotemporale. Il campione statistico non è ancora sufficiente a trarre conclusioni definitive, ma “con l’accumulo di dati che si avrà nei prossimi 4 o 5 anni – spiega Amelino Camelia – potremo sapere con certezza se lo specifico modello di schiuma spaziotemporale che abbiamo considerato è confermato”.