Un disco “politico”, che intreccia con raffinatezza musica e parole, in unico racconto, attualizzando e unendo, il discorso su Napoli iniziato alla fine degli anni 70 da Pino Daniele, con quello fatto oggi delle associazioni e cooperative che, lontane dai riflettori, lottano ogni giorno per il cambiamento. “I testi delle letture – continua Andrea Tammaro – sono quelli di un amico, Sergio Nazzaro, perché la sua visione autentica e senza sconti è quella che ci rappresenta meglio. Quello che mancava lo abbiamo rubato qua e là”. Le parti recitate da diversi attori, tra cui Luca Passeri, Gianluca Soren, Giulio Cavalli e Luca Follini che segue la band nei live, sono bene integrate in un concept album che cerca di ricucire le fratture tra nord e sud e far conoscere la nuova (r)esistenza attraverso il blues di Pino Daniele e la lotta di chi non si arrende alle mafie.
Perché la scelta di rifare Pino Daniele?
Questo disco nasce da un’urgenza. Quella di suonare Pino dopo quel maledetto 4 gennaio. Proprio per il giorno dopo avevamo fissato le prove di DescargaLab in vista di un live e invece ci siamo trovati in saletta con gli occhi lucidi e addosso una tremenda paura di perderci. E così, l’unica reazione che ci è venuta spontanea è stata quella di ricominciare a suonare Pino, e ancora Pino. Settimana dopo settimana ci siamo resi conto che Pinuccio nostro raccontava esattamente la stessa bellezza e le stesse complessità che avevamo imparato a conoscere nel progetto Scampia Trip, nella rete della Nuova cooperazione organizzata e in tutte le altre storie del Sud che (R)esiste, che in questi anni abbiamo portato in varie forme a Milano assieme al gruppo di giornalisti e professionisti milanesi di Scampia, Italia. Pino rompe con la narrazione di Napoli a “pizza, sole e mandolino” e porta alle luce le contraddizioni di “Terra Mia”. Noi prendiamo umilmente in prestito il suo registro per provare a interrompere la narrazione unidirezionale di Gomorra e a raccontare #TuttaNataStoria.
Come avete scelto le storie da raccontare?
Ancora una volta con totale naturalezza e amore incondizionato per la terra da cui veniamo e per i nostri fratelli che lottano ogni giorno per cambiarla. Per questo il racconto è costruito proprio come uno dei nostri tantissimi viaggi a Sud, con il finestrino abbassato e Pino che ci suona dall’autoradio la bellezza che stiamo attraversando. Partiamo dalla Scampia di (R)esistenza anticamorra e andiamo a trovare la sartoria sociale delle migranti di Made in Castel Volturno, raggiungiamo Casal di Principe per pranzare alla Nuova cucina organizzata per poi passare il pomeriggio alla Fattoria dei Sogni di Sessa Aurunca da Simmaco. Giusto il tempo per una scappata veloce nelle altre meravigliose realtà di questa rete di (R)esistenza civile ed è già tempo di tornare, portandoci però a casa l’aria pulita di quel “vento caldo pieno di pazzie”.
E le canzoni di Pino?
È stato facile. Perché Pino ce l’abbiamo cucito sulla pelle. Nonostante i diversi trascorsi musicali, molti di noi in precisi momenti della vita hanno ascoltato praticamente solo lui. Pino è ovunque, in quello che suoniamo, in certe frasi che usiamo ogni giorno, in come ci sentiamo addosso le nostre radici. Così quando Ciro di (R)esistenza nella sua lettera spiega a Saviano la strada che hanno intrapreso le associazioni di Scampia nella direzione della rinascita del quartiere, nella nostra testa parte automaticamente Yes, I know my way. Siamo altrettanto sicuri che nella meraviglia notturna del bene confiscato Selva Lacandona, sotto la luna si aggiri la Bella Mbriana. E poi Erasmo. Sordomuto, spastico e con tendenze all’autolesionismo che dopo 20 anni di “reclusione” in un centro riabilitativo a dar testate contro il muro arriva da Simmaco alla Fattoria dei sogni e in men che non si dica si trasforma da paziente in socio lavoratore della cooperativa. Nessuno più di lui rappresenta il “Masaniello è turnat!” di Je so pazz. Jamm uagliù, ma davvero qualcuno se la sente di mettere in dubbio che questa è #TuttaNataStoria?